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Il canto delle Sirene

Nel cuore della cura
“Sono un guardiano del gregge. 
Il gregge sono i miei pensieri 
e i miei pensieri 
sono tutti sensazioni.
Penso con gli occhi 
e con le orecchie, 
e con le mani e coi piedi 
e con il naso 
e con la bocca.
Pensare un fiore è vederlo 
e respirarlo.
E mangiare un frutto 
è saperne il senso.
Ecco perché quando 
un giorno di caldo 
mi sento triste di goderne tanto,
e mi stendo completamente nell'erba
e chiudo gli occhi che bruciano,
sento che tutto il corpo
è steso nella realtà,
so la verità e sono felice.”

F. Pessoa


Sebbene il mito ci racconti che il prode Ulisse, per resistere alla seduzione del canto delle sirene e non tradire i suoi compagni di viaggio, fosse stato costretto a farsi legare a un albero della nave, oggi le scienze della mente ci invitano a riflettere su quanto siano importanti le informazioni che provengono dai nostri sensi, per costruire una relazione di cura fondata sull’accoglienza e sull’empatia. 
Ci sono specchi sulla superficie dei nostri neuroni, che riflettono e fanno risuonare dentro di noi i sentimenti e le emozioni degli altri. 
Anche se spesso siamo abituati a tradurre le esperienze empatiche in parole, la sintonizzazione e l’empatia in realtà sono esperienze somatiche e non verbali, caratterizzate da calore, rilassamento, capacità di respirare più profondamente, dal sentirsi più vicini e connessi a livello emotivo. 
Noi pensiamo con tutto il corpo, proviamo piacere o avversione, amore o rabbia attraverso i nostri sensi, ma siamo dotati al tempo stesso di un’apparato neuropsichico in grado di selezionare, filtrare, modulare, scegliere, le reazioni emotive più adeguate ai contesti in cui viviamo. 
Noi non siamo la nostra paura, o la nostra gioia e nemmeno la nostra rabbia. 
Piuttosto possiamo diventare consapevoli che in certe situazioni, dentro di noi, si sviluppano queste emozioni, e possiamo trovare la giusta distanza per non identificarci con esse, ma per utilizzare le informazioni che esse veicolano in modo da rendere più ricca e completa la conoscenza di noi stessi e degli altri. Per fare questo, è necessario lavorare su noi stessi, coltivare attenzione e consapevolezza, partendo dall’esperienza del nostro modo di respirare. 
“Pensare un fiore è vederlo 
e respirarlo.
E mangiare un frutto è saperne il senso”, scrive il poeta. 
Trasformiamo, dunque, i nostri pensieri in respiro, affidiamoci all’intelligenza del nostro corpo, delle nostre cellule, che sanno guidarci nella conoscenza di noi stessi e del mondo in cui viviamo. 
In fondo il canto delle Sirene che tanto spaventa l’eroe di Omero, altro non è che l’eco di una voce antica che da qualche parte segreta, sepolta in fondo alla nostra anima, ci racconta la nostalgia della nostra origine divina. 
Sleghiamoci dunque i polsi per attraversare quel canto, liberi di perderci e di ritrovarci, di essere noi stessi, senza permettere a niente e a nessuno di ‘toglierci il respiro”.
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