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Pillole di cura

Nel cuore della cura

Prima dovremmo essere “compatenti” e poi sentirci “competenti”.
Non si dà competenza di cura, di ascolto, di comprensione, se prima non si svolge un lungo e complesso lavoro di pulizia interiore. Il tirocinio dell’anima. Portare dentro di sé l’altro, anche in assenza, e fare della totale presenza corporea l’esclusivo ancoraggio per costruire la relazione di cura. Perciò a chi comincia vorrei suggerire: senti l’altro, nel suo essere prossimo, e prova ad accoglierlo e amarlo non come te stesso, ma perché l’altro è te stesso. Compatire, tolta l’accezione negativa del termine, apre ad una possibilità di condivisione profonda del dolore altrui, che risveglia il proprio.
La competenza emerge alla fine di questo delicato processo di apprendistato. Essa si nutre di una disposizione dello spirito a mettere e tenere insieme quelle che sono le due sponde dello stesso fiume, dove al centro scorre, inesauribilmente, la corrente dell’umana fragilità.

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