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Un mito per la cura

Nel cuore della cura

“Colui che crede di vivere senza mito o al di fuori di esso costituisce un’eccezione. Di più: è un uomo che non ha radici, senza un vero rapporto con il passato, con la vita degli antenati (che pure continua in lui) e con la società umana del suo tempo”

C.G.Jung

 

Abbiamo tutti bisogno di riconoscerci in un mito, cioè in una narrazione che affondi le sue radici nel mistero delle origini. Senza mito non c’è storia. Accanto al pensiero logico, esiste il pensiero mito-logico, che lo integra e lo completa.

Chiediamoci dunque qual è il mito della cura? Di questa dimensione così intimamente connessa all’umano?

“Un giorno la Cura stava attraversando un fiume, quando inciampò in una zolla di fango cretoso. Ne raccolse un po’ e cominciò a dargli una forma. A questo punto arrivò Giove e la Cura gli chiese di infondere lo spirito in quella forma a lei sconosciuta. Giove acconsentì, ma poi i due incominciarono a litigare perché ognuno voleva imporre il proprio nome alla strana creatura. Sopraggiunse la Terra, che rivendicò i suoi diritti, (il fango, infatti, proviene proprio dalla terra). I disputanti allora chiesero l’intervento di Saturno, il Tempo, in qualità di giudice e Saturno pronunciò questa sentenza: “Tu, Giove, hai dato lo spirito e al momento della morte riceverai lo spirito. Tu, Terra, hai dato il corpo e riceverai il corpo. Ma poiché per prima fu la Cura che diede forma a quest’essere, fino a che esso vive, lo possiede la Cura. Per tutta la vita l’uomo è l’essere della Cura e visto che proviene dalla Terra, dall’Humus, il suo nome è Homo”.

Tratto da “Il Mito della cura dalla Favola di Igino” di Martin Heidegger.

Dunque Homo, humus, umiltà, rappresentano gli elementi simbolici di questo mito di fondazione. Così come cura e cuore hanno la stessa radice, che si ritrova anche nella parola curiosità.

La nobiltà dell’uomo sta proprio nella sua naturale propensione a prendersi cura dell’altro, della sua ferita, della sua sofferenza. Ciò che nobilita il gesto della cura è l’atteggiamento di apertura verso l’altro: mente e cuore aperti all’ascolto, alla comprensione, al rispecchiamento. La postura di chi svolge il lavoro di cura è inclinata , come fa il medico quando si china sul corpo del paziente. Da cui il significato di “clinica”.

Che cosa ci insegna questo mito?

Che non esiste una cura che agisca solo sul corpo, sulla mente o sullo spirito. L’uomo è egli stesso l’essere e lo strumento della cura, il suo corpo è fatto della stessa sostanza della terra. Ciò che cura è allora contemporaneamente dentro e fuori di noi. L’uomo crea il rimedio, ma è egli stesso il rimedio.

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