Tibet. monastero di Ganden, gennaio 2012.

È una giornata d’inizio gennaio, nel cielo terso il sole splende basso sopra le montagne. Seppur nel cuore dell’inverno, il suo calore mitiga il freddo intenso. Lastroni di ghiaccio ricoprono. qua e là. le pendici più riparate, poco distanti dagli edifici sacri.
Prendiamo il sentiero che corre intorno al complesso monastico, la kora, il percorso di circumambulazione rituale, scandito dalla presenza di testimonianze, sovente “autogeneratesi”, del divino e del passaggio di maestri illuminati. Tsongkhapa, il fondatore dell’ordine dei Gelugpa, spicca tra quest’ultimi.
Lo sguardo spazia lontano fino ai crinali di montagne brune, nella calma più assoluta: assenza di vento e di rumore. Nelle località meno esposte al vento incontriamo dormienti Rose selvatiche e forse Lonicera.
Un gruppo di fedeli ci precede sul sentiero. Procedono lentamente, compiendo le prosternazioni. Presto li raggiungiamo. Sono giovani, il viso coperto fin sopra il naso da un tessuto. Si proteggono dalla polvere, dal sole e dal freddo. Alcuni di essi indossano l’abito tibetano, quello di spessa lana, che cade fino alle caviglie.
Alzano le mani congiunte sopra il capo, si distendono sul terreno, si sollevano da esso, avanzano di qualche passo e ripetono l’atto rituale, ritmicamente, con movimenti e gesti quasi studiati, ciascuno carico di un significato profondo, scambiamo qualche parola. La loro età è prossima o supera appena i vent’anni.
Di un paese vicino, quei giovani compiono abitualmente quella pratica di purificazione. Uno di loro parla della possibilità di dissolvere le impurità corporee e mentali, di allontanare quelle interferenze che abbassano la qualità e la condizione spirituale con le quali agiamo nella vita. Parole sagge di un giovane pellegrino dal cui volto traspaiono serenità e delicatezza, consapevolezza e decisione.
Poco dopo, il giovane estrae, da una tasca, un telefono. È un iPhone, ultimo modello. Scatta alcune fotografie. Anche i suoi compagni possiedono quello strumento.

Tradizione e modernità s’incontrano e coesistono. Ma il potere soggiogante della tecnologia non appare aver allontanato quei giovani dalla tradizione, da una pratica consolidata da secoli. La loro età è rivelatrice di quanto la religione buddhiste fosse, in quegli anni e verosimilmente al momento presente, ancora radicata nell’animo di molti tibetani, anche tra le nuove generazioni, anche tra i giovani che avevano conosciuto la modernità e che avevano usufruito dei suoi marchingegni fin dalla tenera età.
Procediamo sul sentiero, lasciando i fedeli alla loro pratica di purificazione.