“E immersi

noi siam nello spirto

silvestre,

d’arborea vita viventi”

[G. D’Annunzio]

 

Nei luoghi urbani o nei paesaggi naturali più disparati, isolati o parte di boschi e foreste gli alberi attirano il nostro sguardo con le loro forme, le loro dimensioni, i loro colori. Poiché è il senso della vista che spesso per primo si attiva nell’incontro con queste creature, possiamo allenarci già solo a vedere, in modo che gli alberi che fanno parte delle nostre giornate non passino inosservati. E imparando percepirne la presenza e a vedere, potremo guardare con sempre maggiore attenzione e coglierne i dettagli per assaporare la loro bellezza. Quando si rivestono di foglie nuove e fioriscono, quando esplodono di verdi in estate o di colori in autunno, o nell’attesa spoglia e silenziosa dell’inverno, gli alberi sanno essere poesia che parla all’anima.

Talvolta, soprattutto in alcuni luoghi e stagioni, può avvenire un incontro olfattivo. Ogni primavera già a distanza mi raggiunge il profumo intenso dei vecchi tigli fioriti nel giardino antistante casa mia, collocati a semicerchio come anziani seduti intorno al fuoco.

Sono esseri silenziosi gli alberi, che ci invitano a rallentare, a fare una pausa, ad ascoltare anche ciò che non è percepibile con le orecchie. Ci offrono concerti di silenzio la cui intensità può aprire, infatti, immensi spazi interiori. Per “parlare” in modo a noi udibile ricorrono al vento che fa frusciare le foglie e crepitare i rami, o alla pioggia.

Eppure non solo gli organi di senso, ma il corpo tutto, con tutto l’essere, è chiamato ad entrare in relazione man mano che ci avviciniamo ad un albero. Già stando in piedi, a distanza, è possibile metterci in ascolto dell’altro, radicato e ramificato, e di noi stessi, radicati a terra attraverso i piedi, elevati verso il cielo con la colonna vertebrale e protesi nello spazio attraverso arti e sensi. Già a distanza possiamo sentire una risonanza fatta di sensazioni fisiche, di emozioni, di percezioni sottili, mentre ci immergiamo nel campo di relazione. E può accadere che l’albero che ha attirato la nostra attenzione, che ci ha “toccati” a distanza, ci inviti ad avvicinarci ulteriormente fino all’incontro con-tatto. Trovo sempre affascinante il momento in cui appoggio le mani per la prima volta su un albero. Mi torna in mente una poesia che amo, “La pioggia nel pineto” di D’Annunzio, “strumenti diversi sotto innumerevoli dita”. E questa volta le dita sono le mie, mani che cercano quella sintonizzazione del tocco che in osteopatia viene definita accordo palpatorio. E’ l’applicazione di una pressione regolata sulla densità del corpo che andiamo ad incontrare. Amo questa espressione. Sa di gentilezza, di cautela, della possibilità di incontrare l’altro, animale o vegetale che sia, là dove è in quel momento, con la sua capacità di aprirsi al contatto.

Già ad un tocco superficiale si distinguono le cortecce lisce dei faggi, cortecce di quercia solcate profondamente, o squamose e ruvide come quelle dell’abete. Ho ancora impresso nella memoria del mio corpo il contatto con le sequoie giganti degli Stati Uniti, che mi ha fatto scoprire una densità non compatta dello strato esterno, uno strato morbido e gentile di questi maestosi alberi.

Soffermandoci sull’ascolto, ne percepiamo più in profondità la consistenza, che talvolta ci invita ad un abbraccio. E allora possiamo sentirci sostenuti, accolti, trascinati verso l’alto come linfa che fluisce verso i rami o risucchiati nella terra lungo le radici. E da questo abbraccio, come da altri abbracci, non possiamo che uscire nutriti e trasformati, perché toccare è sempre anche essere toccati.

Una risposta

  1. La mia esperienza è stata con un Acero che era ammalato. Mi ha “chiamato” non capivo se ero impazzito o c’era troppo sole, ma sentivo una “voce:” Mi aiuti a Guarire? Faccio finta di niente, dopo poco di nuovo: Mi aiuti a Guarire?
    Chiamo mia moglie gli chiedo di restare in ascolto, poco dopo mi risponde: ma non sento nulla hai preso un colpo di sole stando in giardino, torna in casa che è pronto da mangiare. Ma l’acero mi richiama e comincia a dirmi dove appoggiare i palmi delle mie mani…. e da quel momento la mia vita cambia.
    Mi ha insegnato talmente tanto che non basterebbe una enciclopedia per descrivere quello che nel tempo è accaduto.

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