Il colore della mente

Nel cuore della cura

Cultura, mitologia familiare, espressione individuale, creatività, narrazione condivisa, ma anche imitazione, rispecchiamento, risonanza e corrispondenza: tanti diversi elementi, tutti contenuti nello spazio-tempo di una performance musicale.

Ravi e Anoushka Shankar. Padre e figlia. Il sitar come simbolo della cultura musicale indiana. Le tabla fanno da terzo ritmico tra i due fraseggi melodici. “Live Raag Kamaj”: una performance musicale che assomiglia a una preghiera, recitata nello spazio sacro di un teatro, sul confine tra esecuzione e ascolto, improvvisazione e metodo, espressività e lirismo interiore.

Il padre, Ravi, seduto al centro, in modo da poter rivolgere lo sguardo ora al percussionista, alla sua destra, ora a sua figlia Anoushka, alla sua sinistra, dirige ed esegue, sta dentro, immerso nel proprio suono, e al tempo stesso esplora, curioso, quello degli altri due musicisti, i quali a loro volta cercano in quel suono lo sviluppo del proprio.

I tre si guardano, esitano, parlano attraverso gli occhi con leggeri e impercettibili movimenti del capo, muovono all’unisono i piedi. Si accordano e si accorgono, l’uno con l’altro, l’uno dell’altro, in una rappresentazione di affettività condivisa e reciproco riconoscimento. Mettono insieme i cuori, le menti, i movimenti corporei, per raccontarci una storia di devozione e di amore. È più di un semplice suonare insieme.

La parola “raga” significa “colore della mente”. Ogni raga indiano è associato a una precisa emozione e andrebbe suonato in una precisa ora del giorno, come anche in una specifica stagione dell’anno. Ecco perché in genere i raga del mattino sono devozionali, canti rivolti al giorno che nasce, mentre quelli serali evocano sentimenti di amore, di nostalgia o passione.

Il brano musicale diventa pertanto una sorta di rituale ritmico e melodico, messo in scena per celebrare una leggenda che viene da lontano, che racconta di valori, visioni e modi di essere al mondo trasmessi da una generazione all’altra. La figlia attende un cenno del padre, ma non ha paura di cercare da sola il suo sentiero di suono nella foresta ritmico-melodica disegnata del genitore. I suoni alti e bassi delle percussioni fanno intrecciare ritmicamente i due fraseggi, il paterno e il filiale, il maschile e il femminile, la sicurezza e l’accoglienza. Continue e sorprendenti variazioni melodiche, timbriche, ritmiche, costituiscono l’anima del dialogo sonoro, come se fossero domande aperte, proposte e sfide imitative, slanci ascendenti e discendenti lungo le scale musicali di base, a sottolineare la concezione ciclica del tempo e la struttura altrettanto ciclica del ritmo.

Si apprezza il valore e il senso di un’esperienza che dall’inizio alla fine si rivela essenzialmente corale, pur lasciando emergere la creatività dei singoli esecutori. Sembra che sia Anoushka a mostrare, se pur in maniera sempre calma e pacata, i segni di un certo disagio nel seguire gli sviluppi imprevisti del sitar del maestro e padre Ravi. Fino alla risoluzione del conflitto, generato da una costante ricerca di convergenza che attraversa tutta la performance, quando, grazie alla sincronia ritmica del movimento dei piedi, si arriva alla perfetta sintonia emotiva dei volti di padre e figlia. Così Ravi e Anoushka alla fine si ritrovano, si ricongiungono, dopo aver fatto esperienza della frattura, del distacco momentaneo e della riconnessione, proprio nell’ultimo passaggio, perfettamente all’unisono.

La commozione di chi ascolta è massima, soprattutto all’apice della tensione creata dalla condizione di religioso ascolto e dissoltasi nel finale. Rimane la consapevolezza di aver partecipato a un evento irripetibile, un’esperienza profonda di bellezza e spaesamento, vitalità e stupore, desiderio ed elevazione. Non una sola parola, come a voler sostenere l’idea che nella musica, come nell’esperienza della psicoterapia, quando la parola è incarnata la musicalità del gesto e la ritmicità dello scambio fanno emergere il senso profondo della storia che nessuna forma di linguaggio verbale potrà mai portare completamente alla luce.

 

Il brano è tratto dal libro “Il pentagramma relazionale. Le forme vitali nella psicoterapia familiare e di coppia.” a cura di Cristina Meini e Giuseppe Ruggiero. Ed. Franco Angeli, 2017

Il video è disponibile su https://www.youtube.com/watch?v=9xB_ X9BOAOU

Altri ritiri ed eventi