Discorso di Ajahn Sucitto
tratto dalla newsletter Tracce di Dharma, 13/12/2024.

 

Il modo intimo in cui percepiamo il regno dell’esperienza diretta muove i nostri cuori con effetti somatici; è un regno complicato, eppure necessario per chiarire, purificare, superare le reazioni e le energie irrazionali che possono essere molto forti ed opprimere. Durante la meditazione possiamo fare esperienza dei loro effetti: pensieri intensi, ricordi, rimpianti, passioni, stati repressi che ci procurano un senso di torpore. A volte ci si può sentire come al mattino quando ci svegliamo, è meglio alzarsi subito, uscire e la pesantezza, il torpore spariscono. Non si tratta di stanchezza, bensì di energia bloccata, stagnante.

Sono stati molto frustranti perché nonostante le buone intenzioni non riusciamo a superare gli impedimenti e così entriamo nella modalità di default. Pensiamo di avere qualcosa di sbagliato, tutto viene preso in modo personale, in particolare l’esperienza soggettiva.

Gli asava del divenire, il flusso del divenire, la corruzione del divenire. Questa è la modalità di default: costruiamo la persona dall’esperienza senza che ci sia una decisione consapevole, sia nel bene che nel male, e quando si tratta di bene non è un vero bene, perché vogliamo averne di più e ci dispiace quando passa. Altre volte diventiamo presuntuosi e sentiamo di valere. Per contro, nel caso di un’ esperienza spiacevole ci sentiamo impotenti. Tuttavia siamo pur sempre qualcosa, ma un qualcosa sentito come un nulla o inadeguato. Questo è l’asava del divenire.

Sono esperienze abbastanza comuni nella pratica formale durante la meditazione seduta, perché non c’è nulla verso cui deviare la propria energia. Non ci si può muovere se non limitatamente, non si può chiacchierare, bere un tè, leggere un libro. Azioni che sono del tutto normali, ma che ci portano fuori da quel territorio. dobbiamo in qualche modo gestir dato che sta diventando troppo bloccato e sebbene ci allontaniamo, non significa che è stato risolto. Significa solo che ne siamo usciti per un po’. Forse la cosa migliore da fare in quello stato quella di trovare altre risorse e poi ritornare. Naturalmente la vita si costruisce con la comprensione e la compassione. Quando ci sentiamo troppo bloccati possiamo fare una passeggiata o una chiacchierata, parlare con qualcuno e questo ci può dare un po’ di sostegno esterno. Si esce da quel territorio, attingendo ad altre risorse: fiducia, benevolenza, consigli, qualunque cosa sia necessaria e poi ritorna di nuovo.

La pratica è sempre purificazione di chitta. C’è chitta intrappolata dagli asava, non è una decisione razionale e diretta, bensì una modalità di default del cuore, del senso soggettivo di chitta, il senso dell’io da cui ci si può liberare. Nella famosa sequenza delle conoscenze verso il risveglio, la terza e più importante realizzazione del Buddha fu la visione interiore. La conoscenza che si raggiunge con chitta concentrata in modo luminoso e puro conduce alla cessazione degli asava e delle contaminazioni dei sensi. Quando chitta è concentrata possiamo dire che è unificata. Ha la sua forza intrinseca, la sua luminosità, il suo potere in quanto dimora in se stessa. in grado di iniziare ad esaminare aspetti della sua stessa esperienza ancora legati alla visione del sé, alla personalità, al divenire, alle inclinazioni e predisposizione dei sensi.

Questo è il sovrano assoluto, avidya, l’ignoranza. Molte traduzioni tendono ad una versione più cerebrale del termine. In realtà, l’ignoranza non consiste nella mancanza di informazioni, ma piuttosto nel non-essere in contatto con l’esperienza diretta. Avidya è quella sensazione che non senti, con cui non sei in contatto. Non abbiamo bisogno di parole. Si percepisce qualcosa, si sente qualcosa e non si sente veramente. Non la vediamo, non ne siamo consapevoli. Si ha l’unificazione di chitta quando c’è il riconoscimento di qualcosa. L’idea è di riunificare chitta, riconoscendo che c’è qualcosa. Cos’è quella cosa che non hai notato? È molto difficile conoscere ciò che non si conosce. Come si fa a conoscere ciò che non si sa? Come si fa a conoscere l’ignoranza? Come si può sentire ciò che non si sente? Come si fa a capirlo? Si inizia a riconoscere che c’è una parte insensibile.

C’è un’energia molto compulsiva in quel punto. Cos’è quella spinta compulsiva o quello stato di intorpidimento, di agitazione, quel qualcosa di strano, in cui non siamo in contatto con il corpo e disorienta? Abbiamo perso qualcosa, non è presente. Non c’è più l’equilibrio, la calma, la chiarezza, il benessere. Sebbene sofferenza e insoddisfazione insegnino dukkha, penso sia importante tenere a mente che non vedere la mancanza di un pezzo sia un effetto dell’ignoranza. Con la dissoluzione dell’ignoranza l’esperienza porta con sé un profondo senso di appagamento, agio, stabilità, che potrebbe diventare la modalità di default, in cui la felicità ci segue senza mai separarsi da noi per entrare nell’ombra. In questo stato sperimentiamo un benessere di fondo che non si basa su un pensiero, un evento particolare o su un’esperienza piacevole o spiacevole, ma su chitta che dimora in se stessa. L’ ignoranza è stata bandita, i suoi pezzi mancanti, che non sapevamo di non avere, sono stati recuperati. Così notiamo qualità semplici come sentirsi stabili, a proprio agio, al sicuro, accolti, degni di fiducia. Quando, però, non sono presenti, ci sentiamo sotto pressione, obbligati, spinti, dobbiamo farlo, non possiamo farlo, ci sentiamo sopraffatti. chiama asava o tendenza latente e si manifesta con chitta contratta, stagnante, non-piena, non-ricca, non-stabile in sé.

Anche questo è lo stato di default. Durante la pratica formale entriamo in quelle parti del territorio di chitta che iniziano ad emergere dal flusso del divenire, in cui io sono questo, in passato ero così a causa di quello e in futuro sarò altro. Sono convinto di essere sempre stato così a causa di questo o quello e possiedo anche delle prove per dimostrarlo. Quindi dovrò essere in questo o quel modo. Sono stato quello, ora sono questo, ma ho bisogno di essere qualcos’altro, perciò è meglio che mi sbrighi ed inizi subito a darmi da fare per diventare qualcos’altro.

Si entra in una sorta di panico di basso livello, che le persone, purtroppo, sperimentano nelle loro vite in un continuum. Non è necessariamente intenso, ma è una continua spinta a diventare qualcosa, ottenere qualcosa, ad essere qualcosa, perché in questo momento sentiamo di non essere quel qualcosa che potremmo essere, mentre gli altri lo sono. La pressione sale ed inizia la narrazione, creiamo storie, progetti, fantasie, scenari. Ad un certo punto riesco a comprendere che posso sedermi qui senza essere disturbato e mi posso rilassare.

Da dove ha origine tutto questo? Forse qualcosa non va. E tuttavia il pensiero mi dice che non posso rilassarmi troppo tempo. Non posso far per il resto della vita perché il mondo funziona in modo diverso. No, non per il resto della vita, solo per 10, 15 minuti. Aspetta, bastano solo 15. Ma cosa faccio riguardo allo stato del mondo? Puoi meditare anche solo 15 minuti e quando chitta si calma, lo potresti scoprire. La vita diventa così intensa, vero? Dove va? Da dove proviene tutto questo fermento? Chitta non è stabile e sa di non esserlo, ma pensa che sia a causa di queste idee, visioni e scenari che evoca dasua stessa condizione di instabilità. E’ così che i risultati della mente pensante e agitata sono percepiti come cause. In un certo senso si autoalimenta. Perché la mente pensa e pianifica così tanto per capire cosa fare? Perché non basta dire semplicemente: “Fermati!”. Non è un processo razionale, non posso dire: “Mi preoccuperò tra 35 minuti, ora una pausa”. Non funziona così. Devo farlo adesso, e’ importante. E poi sono convinto che s riesco a risolvere quella cosa, starò bene. Quando pensiamo che basti risolvere una certa situazione per stare bene siamo nell’ignoranza, poiché riteniamo che i risultati siano anche la causa. Questa è ignoranza.

Ci consideriamo ciò che supponiamo che gli altri stiano pensando di noi: “Penso di non piacerle dal modo in cui mi ha guardato”, “So che sono tutti ostili nei miei confronti, non lo dicono in modo esplicito, e posso sentire la loro ostilità mi sento giudicato, in colpa, escluso”. Da dove vengono queste idee dal momento che nessuno sta insinuando qualcosa di simile? Penso che se anche non lo dicono apertamente ne parlano alle mie spalle. Qualcuno ha accennato che potresti aver fatto un errore e questo significa che per un piccolo errore ti senti circondato che siano gli altri a giudicare.

Chi lo sta facendo? Da dove vengono questi pensieri? Non provengono dalla persona, ma la precedono, è un senso fondamentale della volontà inquieta, di chitta ristretta.

Potrei fare l’esempio di un fumetto per rendere comprensibile il significato. Purtroppo, non è affatto divertente se si pensa al danno che le persone si infliggono attraverso questi asava ed altre orribili situazioni in cui finiscono per trovarsi a seguito di comportamenti compulsivi, di dipendenza o di altri tipi di contaminazioni. Pur riconoscendo che non è del tutto giusto, sono incapaci di fare qualcosa al riguardo. Comportamenti ossessivo-compulsivi, comportamenti di dipendenza, visioni di sé ossessive e dipendenti diventano la modalità predefinita e il resto del mondo si mette in fila davanti ai loro occhi.

Osserva le cose, gli asava verso cui si rivolge chitta, come seleziona la freccia che si adatta alla ferita. A volte l’esperienza di avidya trasforma ciò che è soggettivo in esperienza oggettiva, creando un mondo da uno squilibrio soggettivo. Questa esperienza è molto più intima e si manifesta con uno stato somatico bloccato e complesso. Il soggetto non riesce a sentire bene il corpo, tanto meno ad essere in contatto con il respiro. Tutti respirano, non è vero? Si può fare fino a quando non ci si concentra, perché con la concentrazione giunge il sankara dell’attenzione. E’ un sankara e l’attenzione non è neutra, l’attenzione è influenzata dagli asava. Non siamo noi a decidere, non lo facciamo a seguito di una decisione consapevole. È il modo in cui ci si occupa di ciò che stiamo facendo a diventare teso, opprimente, c’è la spinta a dovercela fare sempre meglio. Questo avviene insieme al sankara dell’ attenzione.

Ecco perché è necessario continuare a portare l’attenzione su cose semplici che non richiedono un impegno volontario eccessivo, proprio come camminare, mangiare, sentire il corpo, tutte attività che si fanno senza sforzo. E’ un tipo di approccio che non viene preso molto in considerazione. Semplicemente siedi, stai in piedi, cammina, fai ciò che ti riesce più facile, piuttosto che essere spinto da un atto di volontà. Senti la presenza del corpo: la pancia, la schiena, le gambe, i piedi, le braccia, le mani, le dita. Riesci a percepire il corpo nel suo insieme?

Se non ci riesci, e per alcune persone questo può anche accadere, senti che cosa sei in grado di percepire con consapevolezza. Questo particolare processo, chiamato vitakka, pone l’attenzione laddove è più facile, senza bisogno di sforzo. Assomiglia al leggero tocco di una foglia che cade nello stagno e lo fa rabbrividire. Non è come gettare una pietra. Chitta raccoglie quella risonanza e ne fa esperienza. Quando si presta attenzione in modo leggero, gentile e ripetuto, senza un eccessivo sforzo di volontà è meno probabile poter entrare nel territorio degli asava, che sono molto più intesi.

In un certo senso, la meditazione dovrebbe richiedere al massimo un impegno del 60-70%. Per alcune persone può essere del 50%. In realtà, non sappiamo esattamente quali siano le percentuali. Molte persone raggiungono il 110%. Voglio dire che nella meditazione è sufficiente soffermarsi con un tocco leggero o vicchara: aprire, soffermarsi, ascoltare. Si fa più volte. Puoi sentire la gamba, il petto, le spalle? Che cosa c’è dietro? Cosa c’è sopra? Non mi ero reso conto di avere un volto, un collo, cosa c’è al di sotto del mento? Forse da qualche parte nel collo si può sentire un’apertura.

Il corpo è un insieme composto. Puoi praticare in questo modo, in parte perché stai portando la giusta attenzione che consiste in quel tocco delicato, in quell’ascolto dove l’intero corpo si manifesta. Il corpo è incompleto, in particolare durante stati di tensione, quando lo stile di vita, assai frequente per molti, è caratterizzato da forti pressioni. In questi casi, c’è una tensione di fondo che lo porta a contrarsi. Le persone diventano ipersensibili.

Ricordo, qualche anno fa, che mentre parlavo con un praticante stavo osservando i suoi occhi che sembravano uscire dalle orbite. Continuava a ripetere che doveva praticare, riuscire, doveva concentrarsi di più, sforzarsi di più. Mi disse: “Che altro dovrei fare? Sto guardando questo, sto pensando di rilassarmi, ma non funziona. Cosa intende per rilassare?”. Conosceva perfettamente il significato della parola, ma non aveva alcun riferimento esperienziale. Rilassarsi ha a che fare con l’esperienza, ma in questo caso mancava un’esperienza diretta. Certo, quando si medita ci si impegna, si cerca di concentrarsi e tutto questo è appropriato se fatto nel modo giusto, ma quella persona non aveva le basi.

Innanzitutto, è necessario sentirsi ben radicati, perché se ci si trova in una sorta di iperspazio senza alcun ancoraggio nel corpo, anche se ci sforza non funziona. Lo sforzo deve essere rivolto a sentirsi radicati a terra prima di poter iniziare a muoversi. Ricordo di avergli detto questo: “Prima di tutto prova a sentire i piedi senza toccarli con le mani, ma percependola in se stessi”. Mi guardo’ come se fossi pazzo. Dopo due anni fu in grado di ritrovare i piedi e in questo modo fece l’esperienza diretta di cosa significasse rilassarsi. L’energia esce da un luogo ristretto e riempie l’intero corpo. Rilassarsi significa essere radicati, si inizia da qui.

Di solito, si fanno queste cose solo intellettualmente con un impegno crescente. Ma quanto sforzo è necessario? Purtroppo, non c’è un riferimento sull’esperienza diretta quando il corpo è contratto. Non si riesce ad avere un riferimento somatico quando il corpo e’ troppo teso, ma soltanto se chitta si rilassa attraverso il corpo, solo allora sentiamo i piedi appoggiare a terra. Cosa si deve fare? Non stiamo lavorando su idee astratte come gli indriyas, samadhi, metta, piti, oppure l’equanimita’, che sono delle verità, ma se sono vissute come idee riposte in qualche territorio della mente, iniziano semplicemente a friggere.

Quando siamo radicati, iniziamo a percepire la qualità di sadda, ovvero la fede, la fiducia. Un’energia che diventa disponibile e non è più forzata, poiché e’ innata. Possiamo esserne consapevoli, c’è un riferimento, la consapevolezza del corpo diventa disponibile, non è uno stato alterato, in cui si cerca di concentrarsi su un punto specifico.

Questo può diventare un modo di essere predefinito, dove anche la qualità della benevolenza e’ presente, non deve essere cercata o prodotta volontariamente, è del tutto naturale. Perché non si dovrebbe sentire benevolenza? Ci sono insegnamenti che danno istruzioni su metta-bhavana. In realtà, il Buddha non ha detto come iniziare, ha detto di espandere ulteriormente ed in profondità quello stato quando sorge, come se fosse la nostra condizione predefinita.

Se sono radicato e rilassato posso sperimentare una qualità di pienezza del cuore. Il cuore è ricco e la qualità di metta si esprime spontaneamente. Il cuore è generoso, grato, compassionevole, utile, tutto questo è naturale. E’ questo che fa il cuore. Vi sto incoraggiando semplicemente a muovervi in direzioni verso cui non avevate ancora prestato molta attenzione, vicino e lontano, in voi stessi, attraverso tutti i domini di chitta: aree impaurite, sensi di colpa, errori del passato, rimpianti.

La benevolenza non è soltanto un pensiero, non è solo un’emozione, è un’energia ricca ed elevata, che ammorbidisce questi luoghi dove ci sentiamo fragili, amareggiati, feriti. Il territorio di chitta non è pensiero, non è neppure un’ emozione, pur avendo in sé un sapore emotivo; c’è un’energia calda e rinvigorente, che ci fa star bene e pervade il corpo.

Questa è la caratteristica pervasiva di chitta non-costretta o spinta da qualche intenzione, è una qualità che risuona naturalmente. Sedendo in silenzio quando chitta è stabile, la sua pienezza, bontà, salute, chiarezza iniziano ad espandersi. Questo processo avviene con metta , karuna, mudita, uppekkha, anche con esperienze di jhana, che penso debbano essere riesaminate in modo più accurato.

Non si sta vivendo semplicemente in uno stato ipnagogico di calore, concentrato su un punto di luce, ma in modo naturale, immerso nella qualità della benevolenza, del rispetto di sé. La felicità di questi stati pervade il corpo attraverso il respiro. In questo modo, anche le aree che erano chiuse si aprono, le aree disconnesse diventano disponibili, parti dove ci si sentiva insensibili e confusi si rilassano.

In questo modo, a volte, arriva l’intuizione: “Oh, è stato a causa di quella esperienza traumatica, di quello shock irrisolto, di condizionamenti sociali, pressioni, abuso”. Queste sono tutte storie comuni di comportamenti d’abuso, subiti o fatti subire, che ascolto spesso e che lasciano nel cuore profonde cicatrici, soprattutto quando si tratta di abuso infantile. Inoltre, penso anche a tutte le cose folli a cui siamo indotti: la dipendenza da lavoro, i comportamenti compulsivi, la dipendenza sensoriale. Argomenti di cui si potrebbe parlare a lungo. E’ l’ ignoranza a proteggere tutto questo.

Potrebbe sembrare giudicante quando si dice che il piacere sensoriale può essere insidioso, ma non è proprio così. Se qualcuno si trova in mezzo all’oceano e lo si avverte che c’è una corrente di risacca è forse giudicante o gli stiamo soltanto fornendo un’informazione utile? I miei amici sono là in mezzo a quella corrente di risacca. Le correnti di risacca fanno parte dell’oceano, sono parte della vita. La corrente di risacca è un fenomeno normale dell’oceano, ma non significa che dobbiamo entrarci dentro. Non senti la natura compulsiva di quello stato? La persona lo riconosce, eppure è convinta che vada bene così. Si tratta di ignoranza. Anche solo pensare che tutti lo fanno e’ ignoranza.

Siamo stanchi di quella passione, della sua natura compulsiva, eppure pensiamo che vada bene lo stesso. Tutto ciò si chiama ignoranza. Lo facciamo, anche gli altri lo stanno facendo. Questo succede perché non si sta guardando ciò che deve essere guardato. Chitta viene spinta, viene gettata nella corrente. Il Buddha ci insegna, invece, a proteggerci, ci sono cose pericolose là fuori. Gli asava sono le correnti di risacca da cui diffidare, non sono visibili in superficie.

Si inizia da ciò che è ovvio come l’avere un corpo. Questo non riguarda il raggiungimento di grandi traguardi, semplicemente si riconosce di avere già un corpo intero. Notiamo quando non sentiamo il contatto con il corpo, cosa ci porta fuori? Notiamo il senso di sottile rimpianto quando ci rendiamo conto che è semplicemente scivolato via. Cosa stiamo facendo? C’è uno stato di disagio, chitta conosce la compulsività. C’è l’asava, quel senso di organizzazione o disorganizzazione compulsiva che ci confonde quando diventa la modalità predefinita.

Essere compulsivamente responsabili è una costrizione, una corrente di risacca. Cosa sta succedendo? Probabilmente, si cerca di difendere un sé o di diventare un sé, forse andrà tutto bene, tuttavia non funziona così. Bisogna uscire dalla corrente per sentirsi bene.

Per sapere ciò che non si sa, toccare ciò che non si può comprendere del tutto, le persone riescono a sviluppare in modo più istintivo e naturale ogni sorta di strategie, facendo fronte ai pezzi mancanti. Si diventa molto bravi in alcune aree che aiutano a deviare, a portare il peso dei pezzi che non stanno portando. È come avere un asino a quattro zampe. Per un qualche motivo si è attorcigliato un filo di rame o qualcosa del genere attorno ad una gamba e così riesce camminare solo su tre gambe. Le tre gambe devono lavorare di più per compensare la quarta mancante. L’asino può camminare, ma non saltare, non c’è leggerezza, non c’è fluidità. Ecco come si diventa rigidi quando manca la quarta gamba. Quindi è come avere un asino a tre gambe in apparenza resistenti e chi lo guarda potrebbe essere sorpreso dalla sua forza. Tuttavia, in quello stato è difficile rilassarsi ed essere gioiosi.

Mi sento confuso quando sono con gruppi di persone emotivamente disfunzionali. Ci sono persone con una sola gamba, asini ad una sola gamba, che siedono tutto il giorno a giocare ai videogiochi o semplicemente stanno davanti ad uno schermo in un mondo astratto, non sono in grado di uscire di casa e di stare insieme ad altri esseri umani. Ci sono asini con una gamba, asini senza gambe ed altri esempi anche più divertenti. Devono essere incoraggiati a muoversi piano con delicatezza. Ho sentito dire: “Mi sforzo di muovermi con leggerezza. Capisco cosa sta dicendo, ma per quanto riguarda la leggerezza non mi sento del tutto a mio agio”. In questo caso si nota un se’ modellato sulla base di un particolare schema.

Alcuni anni fa un monaco soffrì di problemi alla schiena e alle spalle. Si sottopose ad ogni tipo di terapia, pratico’ anche lo yoga per alleviare la tensione. Un osteopata gli spiegò che i dolori erano causati dal fatto che una gamba fosse più corta dell’altra e proprio squilibrio gli provocava uno stress continuo nel resto del corpo. Un giorno eravamo andati a passeggiare insieme, lui indossava delle scarpe speciali e mi disse che il mal di schiena era sparito. Si sentì sollevato e anche il consueto impulso a fare lo abbando’.

Quando non siamo sufficientemente stabili e ci sentiamo bloccati, possiamo radicarci nel corpo e applicando la qualità della benevolenza, crescerà. Queste cose sono piuttosto sottili anche se in realtà non sappiamo proprio bene di cosa si tratti. Pratica internamente, esternamente, pratica come ti senti nei campi sensoriali, esternamente mentre ti muovi, mentre stai facendo delle cose in modo confuso, compulsivo o negligente.

Cosa sta succedendo? Non si tratta di criticare, ma semplicemente di sentire. Quando mi accorgo che c’è qualcosa che sta indagando, rallento. E’ qui dove dobbiamo portare la consapevolezza nel pezzo che non conosciamo, potrebbe trattarsi di un sentimento di isolamento o del bisogno di calmare una parte di noi.

Personalmente, trovo che aiuti cantare internamente. In genere, continuo a cantare in silenzio all’interno della mia mente e nel mio corpo, nel mio cuore, in modo che se un pensiero diventa troppo monotono, ripetitivo od ossessivo posso semplicemente ritornare al canto.

Non è necessario cantare ad alta voce, io canto internamente. Le qualità sonore, in particolare della lingua Pali, producono suoni puri e chiari, sono suoni sacri. Non mi riferisco al significato delle parole, ma alle risonanze che generano.

È un atto di risonanza, si percepisce quella risonanza costante. A volte la purezza dei suoni di una semplice frase in pali, quando risuona internamente, aiuta a liberare la rigidità e la confusione. Tutte le lingue indiane sono state costruite utilizzando suoni in modi particolari per creare risonanze piuttosto che idee. Come si fa? Porta all’interno l’immagine sonora che può essere legata al ricordo di insegnanti, amici, a tutto ciò che riesce a riscaldare il cuore e ti fa sentire qualcosa, in questo modo la nebbia si dirada, si scioglie.

Questi sono modi per trovare la completezza e per riportare chitta nel presente dove poter vivere le nostre vite, uscendo da chiusure e blocchi. Chitta può essere modulata, la purifichiamo, rendendola stabile, provando gioia, dirigendola verso la liberazione dalle contaminazioni e dagli stati di attaccamento.

[traduzione a cura di Grazia Cafolla]