Parliamo del riparare e liberare il cuore, chitta, che potremmo considerare un termine semplice per descrivere la consapevolezza sensibile e partecipe che può condurre ad uno stato di serenità e spaziosità, oppure manifestarsi come un’attivazione frenetica e danneggiata, caratterizzata da confusione e frustrazione.
Ma è sempre possibile portare guarigione, perché si tratta di qualcosa di molto fluido e mutevole. I principali problemi di ciò che sperimentiamo, sono legati ai concetti di “questo sono io, questo è riferito a me, questo sono io che affronto delle situazioni, le mie situazioni”.
E quello che chiamiamo ‘me’ è solo una convenzione, una costruzione. Noi sperimentiamo questa consapevolezza viva e sensibile di poter compiere ogni tipo di cose meravigliose e terribili. È proprio così.
Ma il ‘me’ implica una forma costante e stabile. Spesso, in presenza di vari obblighi sociali, ci si aspetta che tu sia, che io sia, e da questo deriva che dovrei essere in grado di fare, di far succedere, e che dovrei essere in un certo modo per gli altri.
Quindi, per far sì che gli altri stiano bene con me, devo comportami in certo modo. Ci sono vari pregiudizi e obblighi che ne derivano. In effetti, si tratta di una situazione piuttosto stressante e si configura come una costruzione. che viene sovrapposta a questa consapevolezza viva, sensibile ed empatica.
Però questo produce che, stai cercando di trasformare qualcosa di molto fluido in qualcosa di inscatolato, prevedibile, invece, in realtà, siamo piuttosto fluidi. È come cercare di trasformare un animale in un’auto, perché vada più veloce.
È proprio così, Quindi, ancora prima che succeda qualsiasi altra cosa, si è già attivato un meccanismo artificiale. Il problema è che cosi non si possono attivare i normali processi rigenerativi naturali dell’essere vivente Le automobili non possono farlo. Gli animali possono. Le automobili non si possono rigenerare da sole; gli animali sì. Quindi, l’essere vivente, l’entità che respira e vive, può scaricare gli shock e lo stress, e poi, tornare ad essere reinserito in energie ritmiche, come maree, che lo riportano indietro.
È come un fluido. Può essere compresso e poi la fluidità ritorna e ne usciamo e possiamo dire: eccoci di nuovo! Questo processo rigenera e scarica ciò che chiamiamo stress, shock, impatto, tensione o costrizione; è in grado di liberare, scaricare e poi rigenerarsi in qualcosa che ha di nuovo vita e vitalità.
Quindi l’essere vivente può farlo da solo. Le auto hanno bisogno di benzina e petrolio per funzionare, e di meccanici e cose simili,. Tutto ciò serve al nostro benessere, ma è anche finalizzato alla nostra liberazione, perché la liberazione, che cosa significa?
Vuol dire che chitta non è più bloccato in questa scatola artificiale, in cui non riesce a soddisfare le aspettative; perché non può essere sempre puntuale, efficiente, efficace, felice, allegro, forte, supportivo e rilassato allo stesso tempo.
Non può essere forte, bello, intelligente, coraggioso e così via. Così ti senti addosso sempre più richieste su questo. E cominci a capire che non stai facendo bene le cose.
E cominci a pensare “Non mi sento all’altezza. Sento di avere qualcosa che non va in me”. Questo è il primo segnale di sabotaggio, perché non si tratta solo di affrontare i danni prodotti ma stai anche aggiungendo ulteriore negatività alla situazione. E la tensione cresce, “Se solo potessi essere quello che dovrei essere”.
Quindi, prima di tutto, si tratta di delusione, la sofferenza legata alla sensazione di inadeguatezza. Questo genera un effetto nauseante e, successivamente, lo sforzo di diventare qualcos’altro porta ad ulteriori sabotaggi, è lo sforzo per assumere un ruolo che si pensa di dover avere.
Questi fenomeni sono conosciuti come le maree del bhava. Siamo nel bhava, affondando e cercando di uscire. Questo è ciò che accade quando mettiamo questa qualità in una scatola e continuiamo ad esercitare sempre più pressione su di essa.
Tutto questo accade prima che si verifichi qualcosa di più specifico, come attacchi, shock, dolore, tradimenti, insomma, quel tipo di cose, come l’abbandono, il sentirsi rifiutati, isolati, delusi, accusati. Se ti trovi in quelle situazioni, in quella ‘scatola’, non riesci nemmeno davvero a ricevere lo shock. E quindi a dirti “è stato davvero brutto, cerchiamo di respirare e tornare a sentirci fluidi e rigenerati”, perché stai ancora cercando di mantenere insieme la scatola.
Quindi sei bloccato in uno schema che non riesci in realtà a gestire, mentre stai cercando di affrontare le difficoltà. Stai affrontando degli shock, danni, tradimenti e abusi che mettono il sistema sotto stress. Alla fine, il sistema inizia ad ignorare parti di sé, si spegne e non riesci nemmeno ad accorgerti di questo.
Così, ciò che accade è che ne usciamo ed entriamo in una realtà alterata, fatta di fantasie, fobie, idee, teorie, piani… Dobbiamo andare via da tutto questo perché è troppo doloroso, c’è troppa morte da cui dobbiamo scappare. Eppure in qualche modo, dobbiamo distrarci, comunque in qualche modo lo dobbiamo gestire.
Qui è fondamentale la qualità di diamante di chitta perché non la puoi vedere, non puoi bruciare un diamante, non puoi schiacciarlo; puoi percepirlo, conoscerlo, puoi esserne consapevole, puoi dargli un nome, puoi esplorarlo e puoi davvero sviluppare qualità preziose del diamante, come l’integrità e la generosità. Puoi farlo. Guadagniamo la nostra indipendenza grazie all’integrità.
Questo significa che non abuso, non abuso degli altri, non tradisco, non tradisco gli altri, non condanno, non condanno gli altri. Ecco, questo è il diamante. Sai, in tutto questo, inizi a percepire davvero il senso e poi sembra quasi di respirare alcune di queste qualità del cuore, come l’onore e la dignità, e puoi sentire un’ondata di guarigione che attraversa il sistema.
Quindi stiamo liberando il nostro cuore dalla morsa di queste tendenze restrittive; anche se sono ancora presenti, almeno non siamo così influenzati da esse e possiamo intravedere i risultati, senza ancora realizzarli.
E questa è la possibilità che tutti noi abbiamo ereditato, i risultati del karma che abbiamo compiuto, in cui siamo stati coinvolti, o che altre persone hanno rivolto nei nostri confronti, lasciando in noi tracce benefiche e, grazie al cielo, così positive. Tutti noi abbiamo vissuto un miracolo o due, e grazie al cielo, abbiamo anche sperimentato un po’ d’amore. Certo, abbiamo affrontato anche momenti difficili, quindi cerchiamo di avere un quadro completo. Possiamo decidere di non perpetuare questi abitudini limitanti. Dobbiamo liberarci da questo karma futuro, liberarci dal rimetterle in atto e cominciare a farci delle domande. “Nonostante io stia facendo del mio meglio, mi sento spesso insoddisfatto, un po’ maltrattato, ansioso e nervoso, e provo irritabilità, depressione e tristezza”. Questa è tutta materia residua. Questo è detrito.
Chitta è come un corpo energetico e all’interno ci sono questi frammenti di spazzatura che galleggiano Detriti energetici, emotivi e psicologici, pezzi di dolore, frammenti di ferite, di sentimenti di colpa e di inadeguatezza, tutto mescolato in questa zuppa.
Quindi, come avviene la pulizia? Innanzitutto dobbiamo recuperare l’intera forma, anche con tutte le sue componenti, e, non intendo tanto l’anatomia, ma il rupakaya, che significa ‘forma incarnata’, che, è la base della nostra incarnazione.
Così, solidità, fluidità, calore, vitalità, mobilità, cose che si muovono velocemente, arrossamenti, formicolii, pulsazioni, vibrazioni: tutto questo si riflette sicuramente a livello anatomico. Non sono la stessa cosa, ma questa è la base, e il modo in cui percepiamo la nostra anatomia spesso è legata al fatto che alcune parti diventino improvvisamente molto calde oppure molto fredde o contratte.
Ad esempio senti una chiusura nel petto, oppure una fiamma che sale dentro la testa, oppure hai delle improvvise esplosioni vulcaniche che salgono nel corpo e ti fanno sentire inquieto o rimani lì, tutto teso.
Probabilmente tutto questo prende anche una forma emotiva. Ci sentiamo irritabili, di cattivo umore, ci sentiamo persi e soli perché il corpo energetico ha una relazione diretta con il cuore. Dunque, la prima cosa che percepiamo è che non ci sentiamo a posto, avvertiamo scomodità, qualcosa non va, ci sentiamo commossi, depressi, persi oppure arrabbiati o qualcosa del genere.
E così arrivano le storie sul perché. Prima di tutto, si presenta l’umore, seguito poi dalle storie. Prima che l’umore emerga, c’è inevitabilmente una presenza somatica: il corpo energetico comincia ad essere disturbato, successivamente l’umore si manifesta e infine la storia.
E il praticante non risvegliato cerca di affrontare la storia, che, sì, merita attenzione. Ma questa è solo la cresta dell’onda e bisogna scendere nelle onde sottostanti, che si manifestano come sensazioni emotive importanti, come un senso di perdita, di sentirsi non radicati, separati, esclusi, o in qualche modo compressi, tesi o contratti.
E può cominciare a manifestarsi nel tuo corpo, la tua gola si chiude, oppure ciò che accade spesso è che quello che dovrebbe essere pelle diventa muscoli. La sensazione legata alla pelle è in realtà qualcosa di molto sottile e morbido, non è vero?
E’ da toccare delicatamente con una piuma, è così morbida e facile da strappare. La pelle è permeabile, puoi respirare attraverso di essa e l’energia fluisce attraverso di essa, è molto sensibile. E’ la nostra barriera naturale, all’interno siamo in un ambiente salutare, protetto.
Quindi ci percepiamo in una forma, che ha un confine molto morbido che racchiude la salute, la vita e la vitalità che espiriamo all’esterno. Si tratta di uno stato amniotico. Ma poi quando percepiamo un impatto si attiva il muscolo, che rappresenta, una sorta di schema difensivo.
“Vorrei poter mantenere la mia stabilità affinché le persone non pensino male di me, vorrei tenermi compatto per dare una buona impressione gli altri. Voglio essere solido e stabile, non voglio essere fluido. Desidero essere solido come una roccia, e questo è ciò che piace alle persone”.
Così ci rinchiudiamo nella nostra scatola, ci rendiamo piacevoli e solidi, creiamo dei confini muscolari, confini dettati dalla paura, sostanzialmente dalla paura di ciò che gli altri potrebbero dire o fare.
Hai un confine fatto di paura, oppure hai un confine fatto di rabbia come forma di difesa. “Perché mi guardi in quel modo?” Sei così facilmente suscettibile e irritabile. Questo è ciò che chiamo confine muscolare.
I muscoli non riguardano veramente i confini, ma le potenzialità di fare qualcosa. Possiamo fare delle cose, poi rilassiamo il muscolo. Fai qualcosa, l’hai fatto, rilassati. Quando il muscolo diventa un confine di difesa non si rilassa mai.
Quindi hai la sensazione che ci sia sempre qualcosa, ma non riesci a capire cosa sia, eppure c’è sempre qualcosa in azione, fai, fai, fai, fai, fai, fai, fai, fai. Essere vivi significa agire, agire te stesso. “Io sono qui e sto agendo per esserci”
“È abbastanza buono? Sto andando bene? Sembro a posto? Sono nel posto giusto? Sto dicendo le cose giuste, le solite sciocchezze.. “ Quindi, alla fine, la nostra forma si limita a: “Come vado? Sto andando bene? Ti prego, dimmi che va tutto bene”.
E c’è la paura di non essere, perché tutto questo è artificiale, è come se il muscolo non potesse farti sentire, invece la pelle può dirci molte cose: può dirci che qualcosa è morbido, luminoso, doloroso, confortevole. La pelle trasmette facilmente, comunica; il muscolo non lo fa, non è la sua funzione. La sua funzione non è sentire, ma agire. Q
uindi se hai un confine muscolare non puoi sentire l’apprezzamento, l’amore, la sicurezza, il conforto e l’umorismo, perché sei bloccato. “E so perché, cosa sta andando storto; c’è qualcosa che non va in me o forse negli altri”. E così ci ritroviamo nel passato: madre e padre, nonna, nonno, zio, fratello, chiunque. Questo è per far sì che sembri tutto a posto, in modo che non riemerga tutto questo. Ma perché tutto questo è ancora presente?
Sai, perché non possiamo lasciarlo andare? Viviamo in un mondo di persone con le loro imperfezioni e difetti, ognuno con i propri problemi; come possiamo andare avanti se siamo sempre coinvolti nelle problematiche degli altri?
Sai, i muscoli non lo possono fare, ma tu puoi farlo. Ecco, sentilo, hai provato questo, e poi percepisci la sensazione come sensazione, come sensazione scomoda, apriti a questo, è già passato.
Non devi trasformare una sensazione in una persona. Non devi pensare di essere stupido perchè hai provato queste sensazioni. Non hai bisogno di farlo, perché non ha senso e non ti fa bene.
Cosa ti fa sentire bene? Questa sensazione è così e può rappresentare ciò che il cuore può ricevere. Per ricevere una sensazione, il cuore deve uscire dalla scatola, deve venire fuori dal proprio io. Solo allora può svolgere il suo compito, ovvero ricevere impressioni.
Questo mi riporta a respirare, a ritrovare il diamante, fermati lì e poi torniamo. Tornando, ci riconnettiamo con la pienezza. Questo è un processo, si può sentire, sentirsi veramente, senza esserci limitati.
Ci sono significati che emergono. Questo mi è sembrato un comportamento piuttosto aggressivo e lo interpreto in questo modo, ma non mi spaventerò. Non intendo cercare colpe, ma è come se un’onda di shock o nervosismo attraversasse il sistema. Penso di aver appena commesso un grande errore, ho fatto una gaffe terribile, mi sono reso un idiota. Ok, siamo tornati alla base, scusa se ci sono stati problemi, sai come funziona.
E poi torniamo di nuovo. Più facciamo questo, più incoraggiamo anche gli altri a perdonare e liberarsi. Vedi, questo è un aspetto molto comune, specialmente nel contesto delle relazioni con le persone; succede continuamente.
E’ necessario tornare al centro del diamante, ad uno spazio interiore. Questa forma fisica emerge all’interno di questo spazio consapevole, uno spazio sensibile, una consapevolezza sensibile, una presenza sensibile, il suo sentire, la sua sensazione, la sua energia, il suo calore, la sua sensazione di avere in qualche modo un confine.
Ma quel confine esiste all’interno dello spazio consapevole, che in realtà non ha confini, in un altro senso. Così i limiti di ciò che penso di essere, nascono al suo interno. Bene, quindi perché devono essere percepiti come così solidi? In realtà non delimitano nulla.
E questo permette di tornare ad uno stato precedente, senza che ci sia un vero cambiamento. Possiamo riconoscere “Io ho un confine” ma lo vediamo come qualcosa che emerge, piuttosto che come qualcosa di definitivo, questo è ciò che sono. E poi liberarsi, liberarsi dalla pressione, liberarsi dal peso.
Quindi abbiamo a che fare con aree di dukkha, disagio, conflitto, problemi ereditati e sentimenti di estraneità o limitazioni, situazioni che hanno qualità sia mondane che incredibilmente intime, profondamente personali.
Per questo, nel diamante, questi dolori e difficoltà persistono, dicono: “non me ne andrò finché non ti apri e non ti espandi”. Continuano a tornare, continuano a infastidire. Finché non ti aprirai e non ti espanderai, non riceverai di più di questo.
Porterai questo con te fino alla fine dei tuoi giorni. In un certo senso, il dukkha diventa uno stimolo per l’illuminazione. Non stiamo cercando di diventare persone perfette, ma di essere in un processo adeguato di liberazione dal conflitto, riconoscendo dove si trova, aprendoci ad esso, incontrandolo per quello che è invece di dire ‘oh, no, vai altrove’, incontrandolo per quello che è.
Aprendoci al “nervo” della sensazione, entrando in contatto con qualcosa che ha una fluidità. Non è una fluidità veloce, ma è lenta e stanca; così tutto rallenta, rallenta, rallenta, e poi può avvenire una trasformazione.
Rallentare significa mettere da parte l’ansia di sapere quando tutto questo finirà. Rallentare significa chiedersi come uscire da questa situazione. Rallentare significa scoprire quale trucco devo utilizzare. Rallentare significa anche liberarmi di tutto questo.
Rallentare significa non chiedersi come uscirne, ma come rimanere. Rallentare vuole dire non preoccuparsi di quale tecnica usare per far andare avanti le cose. Rallentare significa che non so cosa fare. Rimani su questo, aperto a questo.
Quindi, il rallentare significa mettere fine a quella sensazione di fretta di trovare una soluzione. Altrimenti, c’è sempre qualcosa che non riesci a fare. Non riesci nemmeno a meditare, ammettiamolo, è un altro fallimento. Ti hanno ripetuto così tante volte di lasciar andare, eppure non ci riesci, vero?
Quindi rallentare significa ascoltare quella voce che emerge, dicendo, aspetta un attimo: questo è un programma di sabotaggio.
Pertanto, non succederà in modo rapido. Accadrà attraverso il prendere tempo, restare, accogliere, sentire, aprire, percepire il ritorno della marea, un fluire graduale.
E senti che l’intensità delle emozioni comincia a diminuire. Ci sono quindi delle correnti emotive in questo. A volte ti sembra di sentirti completamente vuoto o triste, quasi come se ci fosse un crollo. Accettalo. L’energia diminuisce, entri in uno stato di riposo e poi tornerà.
Fidati della corrente, cos’altro puoi fare? Affrontare le tue questioni e i tuoi temi più intimi, confrontandoti con qualcosa di molto universale, cioè il senso del sé. Abbiamo parlato di come il sé si formi attraverso ciò che chiamiamo aggregati: le sensazioni, la forma, la forma fissa, l’identificazione con la forma, l’identificazione con le emozioni, il sentirsi afferrati, essere influenzati dalle percezioni e dai significati, e come veniamo attratti dalla volontà.
Essere compulsivi riguardo alla volontà, sai, tutto questo è necessario, e la coscienza è un processare continuo di dati. Aggiungi altri pensieri, altri pensieri per migliorare le cose: questi sono gli aggregati.
Ricorda che loro, si formano e arrivano, sono influenzati dall’attaccamento; tendono ad andare nei posti dove il nostro chitta è instabile e incompleto. Così, c’è un’improvvisa spinta a ‘fare qualcosa’, che viene chiamata attaccamento alla volontà. Tuttavia, no, non bisogna ‘fare qualcosa’, ma ‘essere qualcosa’. Bisogna essere spaziosi e aperti, semplicemente ascoltando con empatia. In questo modo, quell’attaccamento alla volontà può essere lasciato andare. Così, invece di investire energia nel fare, che in realtà non produce risultati utili, ed è come girare a vuoto, è meglio spegnere, riposare, affondare, ma rimanere svegli. Questo riposo permette a chitta di cominciare a ritrovare se stesso in una forma che è uno spazio di presenza e consapevolezza, sentendosi così a proprio agio, libero e aperto. Liberarsi dalla volontà, dalla coscienza, dalle percezioni, dal sentire e dall’avere una forma.
La forma è qualcosa che accade, è un evento, non è un’entità. Così, mentre ci stiamo riposando puoi accorgerti di come realmente segui ciò che la tua forma sperimenta, che può andare da qualcosa di estremamente ampio, quando inspiri, la forma è allargata, ma poi si riduce ad una forma minimale. Ma sicuramente non è questo la forma in cui tu appari.
Può apparire molto fluida, spaziosa e luminosa, ma sarà sempre in questo flusso di marea. Quindi, è semplicemente una forma che fa quello che deve fare. Non è una persona. Ritornare a questo è il luogo di guarigione. Riconosciamo anche che quest’esperienza della forma è solo natura vivente.
È interessante, e non è il sè.. Chitta può liberarsi da tutto questo che non significa che la ignora, dice solo: è questo, è solo questo ed è come se ci fosse una maggiore freddezza emotiva nei confronti dei cambiamenti che avvengono.
Queste sono cose davvero importanti da ricordare, perché gran parte di questo insegnamento, immagino, scomparirà. Ma alcuni frammenti rimangono, quindi li condivido, perché è quello che faccio.
Perché, certamente, sai, mentre invecchiamo, alcuni aspetti del nostro corpo possono degenerare, diventare scoordinati, lo slancio cessa, la potenza diminuisce. È importante non sentirsi depressi, ansiosi o oppressi perchè è solo la forma che sperimenta questo.
E puoi mantenere quella qualità fondamentali di integrità e consapevolezza. Lasciare che la forma faccia quello che deve fare.
Ma, in qualunque forma se la gestiamo nel modo giusto, sicuramente riusciremo ad equilibrare e rafforzare il cuore, allontanandolo dalla disperazione, dall’ansia, dall’irritazione e, insomma, dalle influenze negative.