Discorso Dharma
di Ajahn Sucitto
Buddismo e Meditazione (2014)
Salute
Al Beato, Colui che è privo di ogni macchia, il Pienamente Illuminato
Salute Al Beato, Colui che è privo di ogni macchia, il Pienamente Illuminato
Salute Al Beato, Colui che è privo di ogni macchia, il Pienamente Illuminato
Mi prostro al Budda al Dharma al Sangha
Oggi parleremo di energia perché penso che sia un argomento interessante che a volte manca nella cultura meditativa e nella coltivazione.
In parte perché c’è questa parola, energia, che in realtà si lega a un tipo di applicazione che è il nostro fare, la capacità di mobilitarci e andare avanti, una sorta di energia del fare.
Ma questo è solo una parte di ciò che intendo per energia, è solo la punta dell’iceberg.
Quello che intendo veramente per energia è l’intero sistema di vitalità, si potrebbe dire, che è in realtà fisico ed emotivo o emotivo e anche concettuale allo stesso tempo.
Quindi tutte queste cose richiedono energia.
Anche solo lo star seduti e preoccuparsi richiede energia.
Non è necessario applicarsi, perché comunque attinge alla risorsa di base.
Quindi non è un’applicazione determinata, è solo qualcosa che accade.
Di conseguenza tutti questi processi che avvengono e che noi sperimentiamo, in realtà sono tutti un disegno: energia o uso di energia o produzione di energia o in qualche modo il riciclaggio di energia in modi particolari.
Questo è davvero meraviglioso, ma anche problematico perché cosa succede se si continua a riciclare energia in determinati modi? Come la preoccupazione ad esempio. Essi diventano una traccia, come se collegaste i cavi in un modo particolare, così ogni volta che accendete la corrente, questa scorre lungo quel particolare cablaggio.
Quindi, in un certo senso, si diventa un guerriero abituale o si ha un modello di preoccupazione, un modello di irritazione, un modello di depressione, un modello di perdono, si hanno tutti i tipi di modelli, buoni e cattivi.
E così, quando iniziamo a muoverci, la nostra mente segue questi percorsi particolari, è come se creassimo questi percorsi, che influenzano il modo in cui pensiamo; tendiamo a pensare in modi particolari, persino le nostre emozioni e, anche a un livello più sottile, il corpo.
Sono tutti legati alla loro energia.
Quindi riconosciamo che il corpo è in realtà energia, anche se spesso lo associamo a ciò che possiamo vedere, una sorta di massa di carne tangibile e visibile, carne e ossa. Ciò che percepiamo come corpo è una sorta di formicolio, vibrazione, dolore, solidità, calore.
Queste cose elementari che sono in realtà energetiche, cambiano e mutano costantemente, pulsano e vibrano.
Questa è la nostra percezione del corpo.
E se non aveste una mappa visiva, se toglieste semplicemente quella percezione, come percepireste il vostro corpo?
Sensazioni, percezioni, pressioni, pulsazioni, è tutto energetico.
È una specie di pulsazione e vibrazione, questo è basilare, l’unità o elemento base o materiale dell’esistenza è energia.
Quindi, in realtà, solo quando ci si rende conto che l’intelligenza è una forma di energia, siamo consapevoli che sta avvenendo un cambiamento.
Se lo notiamo, cambiamo, qualcosa si illumina. Capiamo, quindi avvertiamo una specie di sibilo.
Un lampo attraversa il cervello o qualcosa del genere. Il lampo ci attraversa e abbiamo appena capito qualcosa.
Quindi proviamo questa sensazione di illuminazione.
Non capivamo qualcosa, ora sentiamo questa sensazione di confusione, di annebbiamento, cosa sta succedendo?
Qualcosa si muove lì. Quindi si fa strada, un pensiero. Sta lottando.
Eravamo confusi. Che cosa lottava per questo tipo di pressione intensa? E poi alla fine ci siamo riusciti.
Ecco cos’era, solo illuminazione.
Quindi c’è un cambiamento energetico. È quello che chiamiamo “capire qualcosa.”
Ovviamente, le emozioni sono energetiche.
Ci sentiamo sotto pressione, oppressi dal dolore, sollevati e allegri dalla gioia e da tutto ciò che sta in mezzo, sballottati, sbattuti dalla preoccupazione o dal dubbio, dalla confusione. Queste sensazioni sono molto energetiche nella loro natura e spesso producono risultati evidenti nel corpo fisico.
Iniziamo a muoverci nervosamente o diventiamo irrequieti, le dita iniziano a tamburellare o sentiamo il bisogno di fare una passeggiata o ci sentiamo un po’ tesi o depressi.
Oppure ci sdraiamo, ci sentiamo sopraffatti, o riusciamo a malapena a stare fermi perché siamo elettrizzati a livello emotivo.
Questo riguarda tutto il sistema del corpo, l’intelletto o la mente pensante e la mente emotiva o la mente di base o il cuore.
Queste sono le tre formazioni nel buddismo, il corpo, Kaya, la mente pensante, Vaji, che è in grado di definire e articolare, e la mente emotiva o Chitta, che ha più a che fare con da dove traiamo significato e valore, dove sentiamo l’energia che sale per fare qualcosa, dove siamo emotivamente coinvolti.
Quindi queste cose sono tutte energetiche nella loro natura. E continuano a riferirsi l’una all’altra.
Pensiamo a qualcosa, abbiamo un pensiero e ne siamo influenzati emotivamente.
Sentiamo delle notizie terribili alla radio o alla televisione. Per questo motivo sentiamo una sorta di nausea allo stomaco.
Quindi funziona sia in un senso che nell’altro.
Oppure non ci sentiamo molto bene, ci sentiamo male, ci sentiamo leggermente depressi e il nostro pensiero è un po’ confuso.
Oppure ci sentiamo semplicemente stanchi.
Molti dei problemi che le persone sperimentano nella loro vita quotidiana, ciò che è nella meditazione, in realtà ci esauriscono dal punto di vista neurologico. Perché ci sono così tante cose da elaborare, tutti gli stimoli sensoriali ai quali rispondiamo con il pensiero. Il dover reagire, rispondere, preoccuparci e tenere tutto a mente.
Quindi alla fine della giornata ci si sente esausti.
Mentre se si vive una vita più contemplativa, almeno in teoria, non si hanno così tante cose da affrontare. Ci si abbandona semplicemente in un cuscino di beatitudine, energeticamente pervasi di radiosità.
Ecco perché si viene qui per godere della nostra luminosità.
Naturalmente, non è così semplice perché non necessario, dato che i nostri sistemi sono così complessi che si può continuare nei circuiti di preoccupazioni e dubbi senza che nessun altro interferisca con i nostri pensieri, si può creare il nostro incubo e consumarsi.
Questa è la natura di questi sistemi: queste cose energetiche in realtà continuano e creano delle correnti.
Quindi, come spesso accade nei ritiri di meditazione, si è seduti lì, nessuno ci fa del male, c’è spazio, è piacevole, tranquillo, nessuno ci chiede davvero di arrivare da qualche parte.
Oppure ci si sente semplicemente stressati o risentiti, un po’ contratti o spaventati o preoccupati, non capiamo che cosa sta succedendo.
Tutto accade nella mente perché ci sono dei circuiti.
Improvvisamente l’energia non esce più, quindi non è completamente stabilizzata, inizia semplicemente a girare intorno a questi vecchi circuiti.
E iniziamo a rimuginare, a rigurgitare e a rivivere le nostre storie, e la cosa strana è che tutto è fuori controllo.
Pertanto parte del processo a lungo termine del risveglio è arrivare a queste aree involontarie dove ci troviamo sopraffatti, intrappolati, aggrovigliati.
Rendendo queste aree qualcosa di accessibile su cui possiamo effettivamente avere voce in capitolo, possiamo sciogliere tutto quello che ci intrappola.
Possiamo guarire tutte queste emozioni. Possiamo liberarle, possiamo benedirle.
Possiamo davvero iniziare a dare un contributo per cambiare il cablaggio. Così non seguiremo più le solite vecchie tracce.
Ed è questo il significato di purificazione e tutti questi termini piuttosto asettici come guarigione, potremmo chiamarli in modo un po’ più amichevole, benedizione.
In sostanza, è una sorta di ricablaggio, che è un modo molto maschile di pensarla.
Questi sono dei percorsi energetici, quindi sono così e se è così, non si stanno più seguendo i vecchi schemi.
Si ha molto più potenziale perché non ci si porta dietro tutto questo bagaglio.
Non ci stiamo continuamente reinfettando con questi problemi e questi schemi su cui in realtà non si ha molta voce in capitolo. Si ha un potenziale enorme.
E poi quel potenziale viene utilizzato, incanalato dal processo di purificazione.
Quindi i modi in cui si è effettivamente realizzato tutto questo o lo si è portato a termine, diventano poi i modi normali in cui ci si relaziona.
In altre parole, ciò che si fa per cambiare le cose, le cose involontarie, significa in realtà che si sta cambiando se stessi. Il vecchio modo di operare cambia così che questo diventi amorevole, non solo per essere gentile, ma perché diventi normale.
Si diventa più flessibili, meno compulsivi e meno attaccati.
C’è una certa bellezza che si manifesta grazie alla propria energia, che è anch’essa energetica.
Le energie sono cambiate. Non è una sorta di spettacolo di luci. Ma è proprio quello che è successo. È quella radiosità che ha effettivamente compiuto la trasformazione.
Ed è ciò che rimane quando questi vecchi modelli sono stati eliminati.
La difficoltà di qualsiasi processo è che vogliamo arrivare alla fine.
Ma il processo in realtà è diverso, il processo richiede di entrare in questo territorio malato e gestirlo nel modo giusto, che è l’intero approccio pragmatico del Dharma del Buddha.
Non è sempre fonte di ispirazione. Ci piace sentire parlare dello splendore e della beatitudine sempre amorevole e della consapevolezza incondizionata e della luminosità sublime e così via, ma in realtà ciò da cui partiamo è un fastidioso dubbio nella mente.
Come gestirlo è il nocciolo della questione. È bene ricordare quel tipo di cose, lo splendore, la luminosità che si trova da qualche parte là fuori, perché esse danno un senso di orientamento.
Bisogna farsi strada attraverso la giungla per intraprendere quel particolare viaggio.
Trovo che sia davvero utile comprendere le difficoltà e i processi, i risultati in termini di energia.
E questo è ciò che ritengo siano i due agenti o percorsi principali utilizzati dal Buddha: uno è il
Samadhi e l’altro è il Brahmavihara.
Quindi il Samadhi è più simile all’approccio corporeo, entrando effettivamente nel senso corporeo, nel senso somatico, nel senso di tensione o contrazione, dove possiamo sperimentare, in modo che il corpo, il senso corporeo diventi molto morbido, luminoso, liberato, rilassato e questo ha un effetto potente sulla mente.
Non è puramente fisico perché il corpo e la mente non sono realmente separati.
L’altro è il Brahmavihara, che è fondamentalmente il senso di gentilezza amorevole, compassione, gioia riconoscente, allegria, celebrazione ed equanimità.
E questi riguardano ovviamente il motivo. Il senso del motivo del rispetto.
Uno non è più importante dell’altro, fondamentalmente si lavora su entrambi.
Non è che se si sta facendo Samadhi non si può avere alcuna amorevole gentilezza in questo momento.
L’idea è che, poiché entrambi stanno facendo la stessa cosa, si lavora con estremi leggermente diversi dello spettro, ma essenzialmente la questione è che essi si fondono nel fare la stessa cosa perché stanno spostando l’energia in spazi più salutari e illimitati o regioni illimitate.
E come vediamo, essi si presentano come il fattore dell’illuminazione, i due fattori culminanti dell’illuminazione di Samadhi e Upekkha. Upekkha è il Brahmavihara culminante, l’equanimità.
Quindi questo è il culmine del risveglio. il processo di risveglio è che questi due fattori sono diventati accessibili e fondamentali.
Possiamo dire che Samadhi è una sorta di gioia raccolta, composta, piacevole, unificazione di corpo e mente ed equanimità, il che significa che l’intera sfera emotiva è coperta e non si è sballottati perché si è completamente sereni, quindi è una copertura molto completa dal tipo di delusione o felicità o euforia o aggressività, ci si sente rilassati riguardo a tutte queste cose.
Sì, ed è proprio per questo che è importante riconoscere dove funzionano queste cose o dove agiscono.
Perché quando pensiamo al corpo ci riferiamo ad esso come a un corpo grossolano, che è quello che fondamentalmente fa le cose, ci fa andare e camminare, mangiare, raccogliere oggetti, fare cose fisiche grossolane.
E poi abbiamo qualcosa di più, che è molto volontario. Posso decidere cosa farne. Sono io, è mio, è una parte di me.
E poi abbiamo qualcosa che è un altro senso del corpo, che è il senso tattile, sul quale abbiamo meno controllo.
Se piove, mi bagnerò, se fa freddo, avrò freddo.
Posso decidere dove mettere il mio corpo, ma essenzialmente il corpo ha un suo livello di vulnerabilità. È semplicemente influenzato da cose, cose piacevoli, cose dolorose.
Quindi questo è, si potrebbe dire, il nostro simpatico, credo si chiami sistema nervoso simpatico, dove si percepisce effettivamente l’ambiente circostante.
E poi c’è il parasimpatico, che significa come si percepisce il tutto.
C’è una sensazione generale, una sorta di sensazione sottile, per esempio è caldo e va bene, mi sento a mio agio. Oppure è caldo, non mi sento a mio agio.
La qualità del comfort o della facilità è come il nostro corpo si adatta.
Come quando, ad esempio, per la prima volta si sta andando in acqua, al mare, prima mettiamo i piedi nell’acqua, e sentiamo freddo.
Si deve decidere se mettere o meno il piede nell’acqua. Ma dopo un po’ pensi: sì, mi sta bene, mi piace la freschezza.
Il che non significa che la temperatura sia cambiata, significa che il nostro corpo ha assimilato quell’effetto e sente che va bene, che non dispiace.
Oppure, si sta scalando qualcosa e più si va avanti e più il corpo si sente insicuro riguardo al punto specifico che si sta scalando.
Sentiamo che possiamo provare quelle sensazioni, e dopo un po’, ci si sente a proprio agio, il corpo si rilassa, non è più teso.
Quindi questo è il terzo senso, il senso interiore di tensione o comfort o facilità o tranquillità, sensazioni che ci arrivano da qualunque cosa il corpo stia facendo o stia ricevendo.
Magari si è seduti da qualche parte e qualcuno si avvicina e inizia a toccarci, e a noi non piace molto. Le dita ci sfiorano le costole o qualcosa del genere, oppure qualcuno ci accarezza la schiena.
Poi ci guardiamo intorno e ci diciamo: “è qualcuno che conosciamo, un nostro amico,” a questo punto ci sentiamo a nostro agio. Il corpo si rilassa.
Quindi dipende da come lo interpretiamo. Si capisce come ci si abitua alle cose.
Questo è quello che potremmo definire il livello parasimpatico della consapevolezza corporea.
E in realtà, quando sviluppi la meditazione, è proprio a quella parte specifica che ci si riferisce.
Perché quella è la parte che in un certo senso è la più involontaria, nel senso che è il sistema a decidere, non siamo noi, non possiamo costringerci a sentirci a nostro agio, non possiamo costringerci a rilassarci, dobbiamo solo controllare e lasciare che sia il sistema a farlo.
Come, per esempio, quando si è malati e non ci sentiamo bene e si sta lottando, si sta cercando di stare meglio, o ci sentiamo stanchi e stiamo cercando di non essere stanchi, stiamo cercando di spingere e andare avanti.
E alla fine qualcosa ci dice: è così, lasciamo andare. E alla fine ci sente bene dopo aver accettato.
Quindi c’è una sorta di cambiamento mentale o emotivo che avviene e che è direttamente collegato a questo livello corporeo.
E una volta che si è fatto questo, una volta che si è verificato questo cambiamento, allora può
avvenire la guarigione.
Questo accade, sia nella malattia, sia a volte nelle esperienze di pre-morte delle persone.
Si arriva a un punto in cui si lotta e alla fine si accetta e sembra che tutto sia finito.
E nel momento in cui si accetta si arriva ad una nuova risorsa.
Oppure quando stai partorendo, e stai lottando, lottando, alla fine si lascia andare e il corpo fa semplicemente il suo lavoro.
Quindi questo è il momento in cui alla fine qualcosa in noi è in qualche modo d’accordo con ciò che sta accadendo a livello fisico.
Anche se è doloroso, non è quello che si è scelto, non si sa come gestirlo, si arriva a questo livello involontario in cui alla fine qualcosa ci dice che va bene così.
È la sensazione più forte che si prova a livello fisico. È la più grande.
Ed è il posto in cui ci si sente meno se stessi, in un certo senso, o almeno io mi sento così, e si arriva a una percezione più ampia di se stessi.
Per molte persone è una sorta di esperienza mistica, un’esperienza di pre-morte, dare alla luce un bambino o qualcosa del genere può avere queste connotazioni mistiche.
Perché all’improvviso ci si ritrova in qualcosa di molto più grande e vasto, e c’è un’energia che non si conosceva nemmeno.
E una parte di noi che lotta, la parte volontaria difficilmente lo sa.
È qualcosa che accade quando la parte volontaria ha in un certo senso lasciato andare.
Quindi il Samadhi, in realtà, sta cercando di farsi strada.
Perché non si può avere un’esperienza di pre-morte in ogni momento, o ogni giorno.
E poi potrebbe anche non riuscire comunque, è faticoso.
Il Samadhi in un certo senso è una sorta di processo per cercare di arrivare effettivamente a questo tipo di stato corporeo involontario in cui improvvisamente ci si sente benedetti e sollevati.
Si è in qualcosa di più grande.
E il modo in cui lo si fa è attraverso la consapevolezza, ovviamente.
Mindfulness (consapevolezza) e ricerca del Dhamma, questo processo richiede perseveranza e impegno.
Poi inizia a cambiare quando si entra nell’esperienza chiamata estasi.
L’estasi è una sensazione, sia volontaria che involontaria.
Significa che si è concentrati su qualcosa dove non si sta spingendo, non si sta lottando, non si sta scappando, non si sta esitando.
Si è davvero concentrati su ciò che si sta facendo, ma non in modo compulsivo, rigido, cioè egocentrico, si sta facendo qualcosa come un lavoro in cui ci si sente sicuri di se stessi, a proprio agio, con delicatezza e alla fine, poiché si è consapevoli del proprio corpo, si inizia a lavorare direttamente sull’energia corporea, applicando una particolare qualità di reattività all’energia corporea che inizia a risplendere.
E se si è in sintonia, si può percepirlo, si può coglierlo.
E solo per un secondo ci si sente abbastanza liberi e poi, un altro secondo, alla fine del respiro o mentre espiro, si sentono le mani, si prova una sensazione di liberazione.
Questa è la parte bella.
E si inizia a invitare il respiro, ad abbandonarsi ad esso, a respirarlo, a sintonizzare le emozioni e gli atteggiamenti, e ci si rende conto che non è un’esperienza in cui entri e la elimini.
È molto più una sorta di gioco reciproco, in cui si deve fare qualcosa e ascoltare, come suonare uno strumento in un’orchestra.
Quindi si è sintonizzati, ci siamo dentro, sentiamo il tipo di toni che ritornano e si rimane sintonizzati con quello.
Questo è davvero fondamentale.
Quando non lo fai, pensiamo con uno sforzo puramente volontario: “Ora avrò un po’ di felicità”, devo avere un po’ di felicità.
Non ci riesco. sto completamente srotolando l’essere.
Tutto dipende da quanto proviamo.
Perché la mindfulness (consapevolezza) è la capacità di tenere a mente qualcosa, ci si concentra sicuramente su un tema particolare, come il corpo, o l’umore o qualcosa del genere, inspirando ed espirando, concentrandosi su un tema particolare.
E quindi, è una sorta di percezione oggettiva di tutto, questo è ciò che si desidera.
È come quando si suona il pianoforte: non vuoi suonare una nota qualsiasi, vuoi suonare proprio quel tasto.
Ma sfortunatamente, quando si prende questa informazione alla lettera, si crede che sia tutto quello che si deve fare.
Ti irrigidisci.
E non voglio dire che si è sciatti e che va bene qualsiasi cosa, ma è una sensazione, c’è un obiettivo, ci si sintonizza e si cerca di capire che cosa ne verrà fuori.
Soprattutto a questo livello più sottile di come si è influenzati. Si sta assimilando qualcosa. si è consapevoli della paura, o consapevoli dell’amore, o consapevoli dell’odio.
È proprio la mindfulness (consapevolezza) che stabilisce il confine.
Ci dice: non reagire a questo, non scappare, resta lì con esso; ma tu cosa percepisci?
Ecco come si manifesta la paura o ecco cosa provoca alla mente ad esempio vedere un cadavere.
Quindi si sta sicuramente ricevendo qualcosa. Questa è la qualità di una consapevolezza parziale o
totale.
Come ci si sente al riguardo? Sto spingendo troppo? Non mi sto impegnando abbastanza? Non sono davvero presente e semplicemente non mi interessa?
Quindi si devono imparare queste cose e pensare: cosa ci interessa davvero?
Cosa posso provare e a cosa posso prestare attenzione?
Questo ci aiuta a determinare che cosa meditare. Come lo faremo?
Non ha senso cercare di costringere la mente a “mangiare” qualcosa che non vuole.
Buddha fa questa analogia del cuoco, il cuoco saggio, che prepara del cibo, lo dà al re e aspetta di vedere quale parte il re mangia.
Così capisce che il re spinge via le patate e mangia i broccoli o qualsiasi altra cosa, non gli piacciono le patate.
Il giorno dopo gli porta altri broccoli, magari un po’ di asparagi, forse è un re vegetariano, visto che è con Buddha.
Si accorge che non gli piacciono nemmeno gli asparagi.
Quindi continua a controllare: cosa sceglie effettivamente il re?
E questo è quello che gli servirò.
Alla fine gli serve il pasto e il re dice: “Wow, questo cuoco è fantastico”.
E gli dà un aumento o qualcosa del genere.
Il tema è che con la consapevolezza si presentano cose particolari, quindi cosa coglie la mente?
È solo perché oggi ho una brutta giornata o è davvero qualcosa che non funziona per me?
E così hai alcuni sensi con cui inizi a sentire, forse ho bisogno di stare con tutto il corpo o di camminare, o stare in piedi o sdraiato, inspirare ed espirare e così via.
Quindi ci si concentra su aspetti particolari dell’oggetto di meditazione su cui ci si sintonizzi veramente in modo più approfondito. Quanto è ampia la tua concentrazione?
Queste sono tutte cose che devi scoprire da solo.
Il Buddha non stabilisce una definizione ristretta, in realtà ha una portata piuttosto ampia, anche con l’inspirazione e l’espirazione, che è la più raffinata, non dice che dovresti concentrarti sul naso, sulla pancia, sul petto, ma semplicemente ovunque, basta che tu sia consapevole di inspirare ed espirare.
Non è una cosa raffinata inspirare ed espirare.
Quindi, in generale, se non ce la fai, puoi però riuscirci. Dove senti il respiro?
E mentre ti sintonizzi su questo, lui dice: “una volta che hai acquisito la sensazione di poter stare con il respiro, ovunque tu sia, allora ti apri al sentirlo in tutto il tuo corpo”.
Quindi questo è in realtà una forte indicazione di ciò di cui si è parlato, ovvero l’energia che accompagna il respiro.
Perché ovviamente questa parte respiratoria che va dalla bocca ai polmoni non va oltre il tuo corpo, ma la sensazione, la sensazione energetica di ciò che accade quando inspiri ed espiri, ti illumina quando inspiri, tende a diffondere quando espiri. Attraversa tutto il corpo.
Questo è il tipo di percorso particolare che inizi a seguire. E c’è un’ottima ragione per questo.
Perché una volta che ti apri, quando inizi a stabilire questa melodia, questo tema del respiro, che in realtà è curativo, è una sorta di rinfrescante, rigenerante, è la base dell’energia.
Lo stabilisci e lo diffondi in tutto il corpo, inizi a diffonderlo in tutte le parti del corpo che in realtà potresti non controllare così tanto.
Influisce sugli stati d’animo nel tuo corpo, non ti senti teso.
Dove si trova?
Potresti avvertirlo nel collo o nelle spalle, ma in realtà si tratta di una tensione generale o di un ritirarsi, una sensazione di purificazione ritmica.
È calmante, costante.
Quindi hai qualcosa che inizia come volontario sintonizzandoti con il respiro.
Ma poi arrivi a un livello involontario.
E c’è questa commistione perché in un certo senso sei determinato a farlo.
Stai dicendo: ora sarò consapevole di tutto il corpo.
Quindi, allarghi la tua attenzione per includere tutto il corpo, non solo il dominio materiale, ma anche, se vuoi, le energie sottili del corpo, per includere tutto e respirare, inspirando ed espirando.
C’è un modo per livellare, purificare e stabilizzare l’energia del corpo.
Quindi in realtà è molto terapeutico.
Perché, anche quando fisicamente stai bene, dal punto di vista materiale, grossolanamente materiale, energeticamente puoi essere piuttosto confuso.
Usi un sacco di gadget elettronici e aggeggi, guardi la TV, guardi il computer che contribuiscono a questa confusione, o in egual misura degli effetti emotivi possono farti sentire sulla difensiva, teso o svuotato.
Perché, come ho detto prima, il corpo e la mente non sono separati.
Quindi, quando subisci forti effetti emotivi, questi influenzano anche l’energia del tuo corpo.
Ad esempio, mi sento davvero distrutto perché oggi qualcuno è stato molto sgradevole con me, “è stata davvero cattiva con me oggi.”
Mi sento davvero colpito, e allora inizi a pensare a quella cosa e dici: “Ma lei non dovrebbe farlo.
Perché le persone sono così?”
“C’è qualcosa che non va in me, come osa, dovrei amarla dopotutto, probabilmente sta solo risolvendo qualche karma o qualcosa del genere, ma vorrei strapparle gli occhi, ma no, no, no, pensiero cattivo.”
Si possono comunque risolvere situazioni emotive e iniziare ad avere tutte le risposte emotive e concettuali e stabilizzare le confusioni che ruotano attorno a queste cose.
Perché spesso la rabbia è solo un luogo in cui l’energia sta cercando di ristabilirsi.
Quindi si prova una sorta di irritazione, si cerca di recuperare la propria energia.
A livello emotivo, questo può farmi sentire come se volessi davvero darle una lezione la prossima volta che la vedo, il che non è proprio qualcosa che vogliamo seguire, si spera.
Penso “oh no, no, non lo farei mai”.
Quindi si prova questo tipo di emozione, una sorta di, come dire, corrente contraria.
Quindi la questione non si risolve da sola.
Passi alla sensazione fisica dell’energia, non devi preoccuparti di chi l’ha fatto o perché o di come sei tu o di come sono le persone o della vita in generale, passi semplicemente alla sensazione di essere un po’ sgualcito, un po’ malconcio, inspiriamo ed espiriamo in quella sensazione.
Quindi torniamo in quest’altro posto nel nostro sistema e succede la stessa cosa.
Perché il Samadhi è un’esperienza profonda, ma in realtà non ha una durata lunga.
Ma ovviamente, il problema o lo svantaggio è che tu stai cercando di sentirti a proprio agio, stai facendo le tue cose, poi esci, apri gli occhi, inizi a camminare, a parlare con le persone, e sei uscito da quel livello di esperienza corporea sottile, molto simile al modo, non direi emotivo, ma concettuale in cui normalmente interagiamo gli uni con gli altri.
In genere non andiamo in giro sentendo l’aura corporea degli altri.
Dovremmo semplicemente sintonizzarci e goderci la radiosità, la luminosità degli altri, ma in genere interagiamo emotivamente e verbalmente.
Quindi ritorni in quel luogo. Avevi lasciato quel luogo dove ti sentivi pieno, radioso e bene.
E sei tornato in quest’altro luogo nel tuo sistema.
Arrivi al livello sociale, o pensi: “Oh, Dio, queste persone stanno ostacolando il mio Samadhi.”
Stavo bene da solo. Ora devo avere a che fare con queste persone fastidiose.
Quindi torni al tuo vecchio stato emotivo scontroso, probabilmente più scontroso che mai, perché ora puoi santificarlo.
Pensi: perché stanno ostacolando il mio Samadhi? mi danno fastidio.
Quindi, allora è questi pensieri ti permettono di tornare ad essere scontroso, timoroso o qualcosa del genere, perché in realtà non hai affrontato quella questione.
È difficile passare da un luogo davvero interiore alle apparenze che sono confuse, non è vero?
Sembra davvero che le cose là fuori siano diverse, che noi siamo un sistema diverso.
È difficile mantenere quella qualità di pervasività e quella facilità quando ti trovi in qualcosa che il regno dei sensi ti dice che ora è molto separato.
Quando sei in Samadhi, tutto si fonde in un unico insieme, sei una persona adorabile.
Non c’è nessun altro che ti disturba, niente altro.
E raggiungi questo livello e improvvisamente tutto torna ad essere frammentato.
E pensi: “Beh, sto bene?”
Sto facendo quello che pensano, lei farà questo, e penso a cosa potrà succedere domani. In realtà non è ancora successo niente, e già comincio a sentirmi un po’ nervosa solo per la possibilità che accada qualcosa di spiacevole.
A volte, quando sei in ritiro, inizi persino a pensare alla prossima cosa, ad esempio potrei guidare nel traffico e tra la gente vedere mia suocera.
Lasciamo andare, non preoccupiamoci, torniamo al respiro.
Quindi è qui che capiamo che tutta la questione del Brahmavihara è davvero molto importante, e non si tratta solo del fatto di essere gentile con le persone. In realtà è qualcosa di molto profondo.
E come quando si contempla potremmo dire il mentale o l’emotivo o quella base della nostra esperienza, si hanno di nuovo tre luoghi fondamentali, che in realtà corrispondono a quei sensi corporei, il senso dell’io, che è me come agente.
Sono io che decido di fare qualcosa, che vado avanti con il mio piano, lo faccio, il che è un po’ come il corpo grossolano.
È uno stato non sottile, grossolano. Potrei dire che sono abbastanza sciatto.
È come se avessi i paraocchi e andassi in una direzione particolare.
C’è il mio stato o quello che sta succedendo a me o di me, che ha a che fare con il modo in cui altri oggetti, persone, ecc. influenzano il senso di me stesso.
Quindi non sono solo grossolano, sono anche sottile e reattivo, sono influenzato dalle cose e dalle persone, le cose con cui voglio stare, le cose con cui non voglio stare.
Il mio senso quindi è una sorta di senso molto più ampio, un senso molto più reattivo rispetto al semplice senso puro di me stesso.
E poi, quando sommo questi due, ottengo l’impressione generale di me stesso, che è una cosa sottile.
Non sai cosa sia, ma sai che c’è. Succede continuamente.
In parte dipende da quello che faccio, in parte da quello che mi viene fatto, è la capacità di essere me stesso, ma anche di essere apprezzato, rispettato, stimato, non maltrattato e così via dalle altre persone.
Alle volte per esempio succede che qualcosa vada storto.
Per esempio sto tenendo un discorso fantastico, tutti gli altri si stanno addormentando.
All’improvviso me ne accorgo, non mi sento più così bene.
Stavo ascoltando davvero con attenzione, non riesco a pensare a cosa dire.
Mi sento imbarazzato o a disagio, deluso da me stesso.
Quindi è in questo momento che stai praticando il Brahma, stai davvero praticando ora.
Quindi, se la prendiamo in modo semplicistico, potremmo pensare che l’amorevole gentilezza significhi amorevole gentilezza verso me stesso.
Voglio essere felice per me stesso. Tutti saranno compassionevoli nei miei confronti.
Ma questo è un modo molto semplicistico e piuttosto grossolano di vedere le cose.
In realtà, si tratta piuttosto di chiedersi: “posso provare empatia per ciò che percepisco come me stesso?”
L’amorevole gentilezza verso me stesso come verso gli altri è l’espressione di questo sentimento.
E non si tratta di me, ma del senso generale di sé.
E questo non significa che devo piacermi, ma è un senso in cui, tutte le parti di me, le parti di cui mi vergogno davvero, le parti in cui mi sento inadeguato, le parti che sono davvero utili, buone e positive, e tutte le parti di me, tutte le cose che mi sono state fatte, mi stanno davvero bene.
Non mi confondono.
Quindi è qui che si lavora con Metta, Karuna, l’amorevole gentilezza, la compassione.
Consideri te stesso e non senti di arrivare da nessuna parte. Quindi c’è compassione per quel senso.
Non stai cercando di sviluppare le tue abilità giocando a freccette o andando in canoa.
Non stai cercando cose particolari da fare, ma il senso generale di dove ti sta portando la tua vita, che puoi percepire in qualsiasi momento particolare, il tuo senso generale, che a volte può derivare da circostanze esterne, a volte solo dalla programmazione interna.
Quindi molte delle nostre attività volontarie possono essere modi in cui cerchi di allontanarti da questa ombra involontaria che sentiamo dentro di noi.
E questo ha i suoi effetti, ma non è l’effetto profondo del senso di delusione, il senso di non essere mai abbastanza bravo.
Manteniamo questo senso, che non è specifico, è stare semplicemente stare con questo, non avversione, gentilezza verso questo senso.
Quindi stai davvero andando, questo ti sta portando a un livello molto profondo nella mente.
Questo equivale davvero all’esperienza corporea che si prova nel Samadhi.
Si arriva davvero allo stesso punto di una sorta di sensazione involontaria che non necessariamente tocchiamo, ma che si trova dietro di noi.
E gran parte della nostra vita la passiamo a compensarla o a fare cose per evitare di entrarci.
Tutto viene fuori perché non puoi fare le tue cose e non puoi ottenere l’approvazione degli altri e non puoi agire come vorresti e cerchi di usare la meditazione come una sorta di esperienza di affermazione dell’ego.
E consideriamo i grandi crolli che arrivano nella nostra vita ogni volta che non riusciamo davvero ad avere successo.
Qualunque cosa stiamo facendo, nel nostro matrimonio, nel nostro lavoro, nella nostra meditazione, qualunque cosa, se non sei preparato crolli.
A volte, se si è un po’più preparati, si prova una sorta di disillusione, scoraggiamento, e si cade attraverso questi livelli volontari di ciò che abbiamo cercato di fare negli ultimi 20 anni per sentirci bene, e si arriva al livello involontario della difficoltà, della lotta di stare qui fuori.
Ecco, è lì che si arriva ed è quella la parte che deve essere guarita.
Quindi, in realtà, con la meditazione, tendi ad arrivarci un po’ più velocemente.
Penso che molti degli insegnamenti che vengono impartiti nei monasteri, vengono fatti da persone, monaci e monache che parlano di questo senso di disperazione e difficoltà.
Non perché sia tutto ciò che provano, perché è importante dire: “Ehi, non è qualcosa che sta andando davvero male.”
Non dobbiamo vergognarci, non siamo qui per esibirci o per mostrare i nostri trofei.
Siamo qui per dire che c’è un territorio che conosciamo bene, che riguarda il senso involontario di sé.
Abbiamo ricevuto un’istruzione, nostra madre ci ha amato e ci sentiamo ancora amati.
Ci danno da mangiare ogni giorno, paghiamo le tasse e così via, eppure ci sentiamo ancora infelici perché dobbiamo andare più a fondo e avere il coraggio di farlo e capire che questo è il posto giusto, ma anche capire come affrontare effettivamente quel posto. Perché anche se andiamo possiamo ritrovarci a girare in tondo in un senso di impotenza.
Questo è davvero ciò di cui trattano i processi di queste pratiche profonde. Riguardano la soffusione, per esempio.
Brahmavihara riguarda la soffusione della totalità, il che significa che non si sta indicando in modo particolare un oggetto definendolo.
Quello è un pensiero, quella è una sensazione, in realtà ne stai sentendo l’energia. L’energia non è un’energia semplice è un’esperienza soffusiva.
Quindi non si stanno definendo le cose in base alla loro forma esterna, cioè un pensiero, uno stato d’animo, una sensazione o persino il senso etico, un pensiero cattivo, un pensiero buono, ne stiamo sentendo l’energia tipo questo cosa si innalza, riscalda, ricade, si ritrae, irradia.
E quale è quello buono?
Posso arrivare al punto in cui si sente il diffondersi, il radiare, il prendersi cura, il trasmettere, quello è quello giusto, e ci si concentra su quello e si diffonde quell’energia semplicemente concentrandosi su tutto il campo.
Quindi è una sorta di apertura della mente e una diffusione di energia che avviene a un livello sottile.
È il modo in cui lo si fa.
E una volta compresa questa energia con cui si sta lavorando, si ha una sensazione molto più chiara sia di come farlo, sia di cosa si sta effettivamente affrontando, perché l’energia in sé non è del tutto volontaria, ma può essere indotta.
È qualcosa che ha a che fare con l’entusiasmo, la diffusione, la benedizione, l’emanazione, la radiazione, la cura, la gestione, è quel tipo di qualità, è un senso relazionale.
Quindi questo è davvero ciò che sviluppiamo nella meditazione.
Per questo, devi avere la sensazione di non limitarti a rimbalzare su particolari oggetti specifici, ma di relazionarti con queste cose.
Come lo fai, questo è il punto in cui il senso di estasi è cruciale.
Perché prima di tutto, inizi ad aprirti all’esperienza energetica, che all’inizio potrebbe essere piuttosto difficile.
A volte le persone scoprono che il loro rapimento diventa un po’ instabile, vengono sballottate, sbattute da una parte all’altra.
Quindi si deve effettivamente diffondere calma e stabilità.
Quindi si passa all’estasi, alla tranquillità, così ci sentiamo a nostro agio e ci si espande sempre di più, praticamente in tutto il corpo, e poi la cosa inizia a stabilizzarsi e la tua mente diventa unificata.
Allo stesso modo con il Brahmavihari che è qualcosa di molto simile al nutrimento, l’esperienza
Metta, e quindi ci si muove verso questo tipo di stato stabile di equanimità, diffondiamo semplicemente quella consapevolezza su tutto lo spettro emotivo.
Non si tratta realmente di cose particolari in sé, ma il senso stesso di ricettività della mente è il tuo oggetto, come il corpo stesso è il tuo oggetto a livello energetico.
Quindi questi sono i modi in cui lavoriamo e coltiviamo.
E penso che la mia raccomandazione sia sicuramente questa, perché voi, usate parole come Samadhi, equanimità e risveglio, e le mettete lì, e molto spesso l’effetto energetico può essere quello di “oh no, di nuovo quelle parole”.
E potete sentirvi sopraffatti da esse.
Quindi, spesso si dice che ciò di cui hai davvero bisogno è la consapevolezza, perché è questo che ti porterà lì.
E io posso, come Paolo, grazie al suo senso intuitivo, al suo senso di raccolta, ascolto e attenzione, ascoltare davvero.
Senti cosa è utile, cosa è inutile, cosa ti pervade, cosa irradia, cosa calma, cosa rallegra, cosa rende felice.
Anche se è solo un po’ alla volta, sintonizzati su questo e inizia ad aprire la tua consapevolezza, a diffonderla in tutto il tuo corpo e nella tua mente, a seconda di quale dei due sembra essere il campo più fertile da coltivare.
Anche solo prendendo questo come una sorta di modello di come meditiamo.
Per me, certamente, il più delle volte si tratta semplicemente di cambiare il mio approccio alla vita.
In altre parole quello che voglio dire è non sentirsi responsabile delle cose, non fare le cose, ma solo ricevere, sentire, percepire e fidarsi di questo.
Quindi c’è una sorta di affermazione più ampia che inizia a stabilirsi nel tuo modello di vita, sei meno occupato, meno preoccupato dei tuoi eventi e delle tue azioni, e molto più in sintonia con il modo in cui il tuo essere è influenzato e bilanciato in termini di dominio interno ed esterno.
Sadhu, Sadhu, Sadhu, Sadhu, Sadhu, Sadhu, Sadhu, Anumodana
[Traduzione a cura di Donatella Masci]