Di Ajahn Sucitto

 

 

 

Il cammino del Buddha, la via di mezzo, dovrebbe suggerire l’idea di trovare un equilibrio. Questa è l’essenza della pratica buddhista. E’ per questo che non ci può mai essere realmente un buddhista fondamentalista, dovrebbero essere fondamentalmente in equilibrio il che, secondo me, non rappresenta affatto un problema.

Quindi l’attaccamento è un modo di afferrare qualcosa per mantenere l’equilibrio: ci aggrappiamo a diverse cose per sostenerci, dai dati sensoriali alle idee su noi stessi, dalle ideologie ai luoghi, dalle dottrine alle religioni. Tutte queste cose ci aiutano a rimanere stabili e in piedi.

Pertanto è fondamentale riconoscere che è necessario afferrare qualcosa. Se si continua in questo modo, quasi di default, con questa tendenza ad afferrare, trattenere, avere bisogno di aggrapparsi e sentirsi spaventati e disorientati se non ci riusciamo, è necessario che arrivi sempre qualcosa che ci sostenga. E mentre riesci a lasciare andare qualcosa, qualcos’altro ti riacchiappa. Puoi lasciare andare solo se qualcos’altro ti sostiene.

La sensazione è simile a quella del galleggiare, un galleggiamento equilibrato, più che essere appeso. La leggerezza tiene il corpo/mente/cuore in equilibrio, e in sincronia funzionano come un organismo flessibile, creano un’esperienza di vita flessibile, che è in grado di essere flessibile, di essere flessibile nella consapevolezza di sé, nel percepire sé stessi. E’ come quando non c’è bisogno di dire al tuo corpo di curare un taglio. Se stai per cadere, non devi neppure, chiedergli di trovare l’equilibrio, lui lo fa automaticamente. Se riusciamo a connetterci a questa intelligenza di vivente, possiamo adagiarci su una connessione profonda con questa esperienza equilibrata e fluida, auto-sostenuta e fluida. E’ importante avere in mente questa possibilità, perché è evidente che le strutture plasmano le nostre sensazioni e organizzano la nostra esperienza. La mente genera rapidamente strutture che ci permettono di organizzare la nostra esperienza.

Il tempo, lo spazio e il luogo contribuiscono ad organizzare la nostra esperienza. Io sono qui, non là, devo andare da questo luogo a quell’altro, appartengo a questo luogo e non a quell’altro. Questo è il mio territorio, quello è il tuo.

Questa struttura organizza la nostra esperienza. Sappiamo dove ci troviamo, questo è il mio appartamento, la mia auto, il mio spazio. Conosciamo il nostro posto. La nostra identità è legata a queste strutture, sia nel tempo che nello spazio: so chi sono perché abbiamo ricordato, registrato e compreso una serie di esperienze.

In particolare ricordi, prodotti mentali, non ci basiamo molto sul nostro corpo. E’ principalmente una questione mentale, psicologica, ciò che è più intimo e familiare. Questo sono io. Sono io di nuovo.

Qui ho le mie attitudini compulsive riguardo a questo. Qui ci sono le mie paure e fobie riguardo a quello. Qui ho i miei stati d’animo e preferenze. Eccomi. I miei ricordi si integrano.

Quindi questo modello diventa il sè, c’è questa tendenza di base a creare un’identità. E poi diversi esperienze si attaccano ad essa, proprio come avviene con la carta moschicida. La sollevi e varie cose si attaccano ad essa.

Quello che si attacca sono le qualità più impattanti, le più profonde, le più toccanti, che risuonano di più. Così diventiamo ciò che sentiamo più intimo, familiare, ripetuto e profondo, il che può anche risultare piuttosto fastidioso.

Penso che nessuno di noi sia diventato fantasticamente e compulsivamente felice?! Perchè escludiamo le cose belle? Perchè escludiamo le sciocchezze ? Perchè ci disturba, disturba i nostri impedimenti.

E questo è strano. Siamo dipendenti da ciò che è più disturbante.
Questo viene prima della personalità. La personalità è folle, non ha senso. Questo è qualcosa che si colloca prima della personalità.

Noi siamo fondamentalmente sensitivi. In noi c’è una sensibilità di base. E cosa impatta su di essa? Gli shock, e alcuni di questi sono accettabili ma buona parte è dolorosa. I fraintendimenti, le frustrazioni, le delusioni, gli abusi, quando non si riesce a combinare nulla, i fallimenti. Eccomi, sto fallendo, sono in difficoltà, sono un perdente. Questo si attacca a questo modello virtuale del nostro divenire.

E quindi come possiamo smettere di funzionare così? Siamo ancora bloccati nello stesso schema. Come posso diventare qualcosa di diverso? Come possiamo liberarci di questi insetti appiccicosi, come possiamo togliere queste mosche dalla nostra carta moschicida?

Probabilmente puoi toglierne un po’ ma probabilmente i più resteranno. La cosa fondamentale è lasciar cadere la carta moschicida, perché è molto probabile che ci siano sopra esperienze dolorose, delusioni, frustrazioni, sensazione di inadeguatezza e di non sentirsi compresi.

E questo è probabile che torni di nuovo. Non ci sono trappole per mosche e le mosche non si attaccano. Sensazioni dolorose, sensazioni spiacevoli, sensazioni di delusione. Ma quanto di questa delusione deriva dal non essere riuscito a vivere secondo l’immagine che ci siamo creati di noi stessi, quel modello di identità in cui dovrei essere competente, efficiente, puntuale, completamente informato, organizzato e allo stesso tempo allegro e rilassato. E anche con tanto spazio…non succederà, è un’equazione impossibile, non puoi metterci tutto. E ciascuna di queste qualità potrebbe anche migliorare, potrei essere più efficace, più allegro, più empatico, più spazioso, meno nevrotico.

E così, riconosciamo ciò che di solito non notiamo, perché ci concentriamo su tutte le cose appiccicose. Non ci accorgiamo di ciò che è incollato sul modello di come stiamo diventando. L’identità è questo, è generata da un’energia, da un impulso o flusso che chiamiamo divenire, influenzato da qualcosa che è precedente rispetto all’identità di una persona, rispetto alla propria percezione di sé.

C’è un impulso fondamentale e “pre-personale” che spinge per creare un’identità. Questo si può chiamare impulso a divenire, a dare una forma ad un’identità, dare una forma al tempo, alla nostra identità e alle identità altrui.

Lui è in un certo modo e quindi, dato che lui è così, è meglio che io mi comporti in un certo modo, così da sentirci a nostro agio insieme, perché lui è fatto così. E’ meglio che io sia così in modo da funzionare insieme. Oppure visto che lui è così devo assicurarmi che non sappia che sono fatto in questo modo, altrimenti lui così come sono non mi apprezzerà. Quindi io smetto di essere così, in modo che lui possa sentirsi a suo agio, ma poi forse è lui che non dovrebbe essere così… e quindi io infondo andrei bene.

Il punto è che dobbiamo in un certo senso ridurre tutto questo, renderlo molto semplice, tollerante, paziente, lasciare che cambi, restare con i cambiamenti, non perdere la presenza, rimanere in equilibrio, non uscire dalla mia culla, non spegnermi, restare aperto e mantenere l’integrità.

E dov’è l’energia del cuore in tutto questo? Quando è stabile ed equilibrato, devi tenere a mente di esplorare la condizione di vivente che è simile a come il corpo cerca la felicità, proprio come un corpo non desidera cadere, o rompersi una gamba, e se succede, inizierà a guarire. Allo stesso modo, l’emozione e il cuore funzionano in modo simile: non vogliono subire danni, ma desiderano sentirsi stabili, hanno un’inclinazione innata verso il benessere.

Ma se pensiamo che il nostro benessere significhi dover avere questo e quello, no no, questo è secondario. E’ una qualità innata di sentirsi a proprio agio. Cominciamo a cercare questo nel nostro stato corporeo.

Questo è un assetto molto potente, è una risorsa davvero efficace, confortevole e benevola, che ci permette di smantellare o mettere da parte o ammorbidire il senso di identità: la tua identità, la mia identità, come immagino che tu sia, come credo di dover essere per te, come penso che tu voglia che io sia, come sento che tu credi che io sia stato e come avrei dovuto essere, ma non sono stato.

Oppure restare incollato a questo modello del “divenire”. Divenire definisce un’identità che dovrebbe rimanere coerente nel tempo; questa è la sua natura, poiché divenire implica un senso di coerenza. Divenire stabilisce una continuità temporale: io sono, io ero, io sarò.

Voglio questo e mi aspetto che sia stabile. Questa è la linea di fondo della stabilità, continuità, così posso organizzare il mio calendario google, mettere tutto in ordine. Ho le mie mappe, so dove andare e tutto è chiaro sia sulla mappa che sul calendario. Poi ti trovi nella realtà, ti senti perso, disorientato e ritorni di nuovo a questo, ti senti stabile,trovi il tuo  equilibrio in questo divenire e ti offre possibilità di continuità, di permanenza per raggiungere una meta di successo, per essere fondamentalmente stabile, chiaro, efficiente, efficace, caloroso, allegro e rilassato allo stesso tempo. Ma per quanto queste possibilità possono apparire abbaglianti, con un po’ di saggezza ci accorgiamo che sono solo un miraggio.

Questo è un miraggio; ora la via di mezzo è anche il non-divenire. Io non esisto, nessuno esiste, ci sono solo fenomeni vuoti che vorticano nel nulla, tutto è illusione. Niente ha importanza, niente ha un senso etico. Non c’è bisogno di prendersi cura di nessuno, perché in realtà non c’è nessuno lì. Tutto questo è solo un flusso emotivo, e quindi, allora? Questo è ciò che chiamiamo non-divenire. Il nichilismo è spesso un idealismo frustrato.

Se non riesco ad entrare nel mio romanzo di vita, mi sento frustrato, cinico e nichilista; non mi importa di chi ne sia coinvolto, è una questione da poco. La via di mezzo consiste nell’evitare gli estremi. Non si tratta di nichilismo , né di permanenza, né di romanticismo ma di realtà, questi due estremi costituiscono due miraggi, uno negativo e uno positivo.

E’ tutto inutile, oppure dobbiamo fare in modo che qualcosa accada. Quando queste illusioni vengono comprese per quello che sono, può emergere qualcos’altro. Come possiamo comprenderle?

Se entriamo in contatto con la nostra condizione di esseri viventi, significa che siamo vivi. Quando siamo nati, non sapevamo che sarebbe successo il 9 maggio, semplicemente siamo nati. Non abbiamo detto: “nascerò esattamente alle 4 e 27’, siamo solo andati avanti e l’abbiamo fatto. Non abbiamo detto che saremmo nati a Glasgow, è semplicemente successo così.

E’ successo al di là della posizione e del tempo specifico. Le cose naturali accadono semplicemente perché i ritmi della vita hanno raggiunto quella forma, tu rientri in questo.

La vita è andata avanti e tu sei dentro questa forma, e tu sei dentro queste condizioni che cambiano. Questa è la nostra condizione di vita. C’è qualcosa in questo. Ma non funziona realmente in base a queste strutture, cambia, si trasforma, ma non puoi sapere cosa cambierà alle 4 e 29’. Ora sono le 4 e 45’, qualcosa cambia in fretta, qualcosa cambia lentamente.

Rispetto al luogo, quando siamo in un ritiro? Al London Insight, appena passi il cancello? No non ancora. Quando sei oltre la porta d’ingresso? Non del tutto: Quando ti siedi sul tappeto sei in un ritiro. Non ancora. Quindi c’è una sorta di linea di demarcazione. Inizia al cancello, alla porta di ingresso, davvero, dove inizia? Ma non inizia davvero, giusto? Sì abbiamo le campane e altre cose, ma inizia davvero? Sei diventato all’improvviso completamente svuotato, senza che niente sia successo, non è possibile, ma la tua condizione di essere vivente è subentrata e le cose hanno cominciato a muoversi, a cambiare, ad ammorbidirsi, a svilupparsi, si trasformano, poi qualcuno suona una campana e ci sono altri cambiamenti e qualcun’altro suona la campana e dice grazie ed i cambiamenti continuano. Adesso se mantieni un’attenzione ragionevolmente equilibrata, non troppo acuta né troppo leggera, focalizzata sulla possibilità di andare oltre l’inizio e la fine.

Rispetto al tempo, le cose iniziano? Quando inizia un tuo pensiero? Quando finisce? Finisce? Il suo suono si affievolisce, o è finito? O si è solo affievolito? Noi diciamo, sto per pensare un pensiero, quale pensiero dovrei pensare? E non succede niente, poi ti rilassi ed i pensieri cominciano ad assalirti. Che cosa è successo? Hai perso la attenzione. Il processo del pensare è cominciato ed è diventato evidente. Ma non riesci a percepire chiaramente da dove inizia tutto questo. Distingui un certo processo di cristallizzazione, come una nebbia che si posa su un vetro, diventa acqua e poi svanisce.

Dove va il suono? Si ferma all’improvviso o senti il suono e ne percepisci le risonanze? Questo svanire e poi risalire. Ora se ci pensi bene, questa è la conclusione di quel movimento. Ma se ascolti un suono e noti che diventa sempre più tenue, ti rendi conto che piano piano scende al di sotto della tua capacità di udirlo. Si muove, scende ad un certo punto e raggiunge proprio il limite del tuo udito per poi scendere al di sotto di esso. Se avessi orecchie più acute probabilmente durerebbe un po’ più a lungo. Con l’età però il nostro udito tende spesso a diminuire.

Quindi il suono ha qualità diverse, non è così? Probabilmente se sei un cane o qualcosa del genere, quel suono durerà più a lungo, poiché si tratta di una creatura con orecchie molto acute. Di conseguenza, il suono dipende dall’attenzione di ciascuno e l’inizio e la fine sono semplicemente punti in cui l’attenzione si sposta. Con questo basta, ora c’è un’altra cosa.

Mantieni la tua attenzione concentrata: i pensieri affiorano come un flusso, e quello che mantiene stabile la tua attenzione è avere un cuore stabile. L’imparzialità come ho già detto, non è uno stato negativo, ma un modo di tenere il cuore in equilibrio.

Non mi sto opponendo a niente, non sto affermando niente, non sto rifiutando niente, non mi sto chiudendo, non sto afferrando, non sto rivendicando, non sto rifiutando, non sono favorevole. Questa qualità di intenzionalità è ciò che sostiene la tua attenzione, la mantiene costante perché la tua attenzione viene guidata, non devi mantenere vivo, né ricordare, né capire nulla, rimani semplicemente lì e ciò che accade è che la ricettività, la facoltà della consapevolezza, si apre.

Quindi l’attenzione seleziona, la consapevolezza riceve e l’intenzione dirige. La tua attenzione ben focalizzata consiste semplicemente nel trovare un posto comodo dove la tua esperienza di essere vivente possa essere percepita senza essere compressa, senza cercare di farla essere qualcosa di diverso da ciò che è. La tua esperienza di vivente può essere così com’è, nella sua completezza. Quindi stando con il cuore in questo, non ti fai confondere da nulla, non ti fai prendere dal panico, non cerchi di ottenere ciò che non hai, non si tratta di costruire qualcosa né di diventare qualcos’altro. Non è una questione di arrivare ad una risposta o di trovare una conclusione alle cose. Si tratta semplicemente di essere consapevoli e di lasciare che il processo si sviluppi, dando così molta fiducia all’intelligenza ordinaria e vivente che c’è in noi. Non ti interessa altro, basta così, va bene così. Inizia a filtrarsi da solo. Io sento questo chiacchiericcio che arriva periodicamente e diventa parte della mia identità. Lo ascolto, ho smesso di cercare di placarlo o di maledirmi per averlo. Sono piuttosto affezionato a questo brontolio perché mi dice chi sono. Ma forse è giunto il momento di dire “brontolio, non ho più molto da darti, non ho energia da aggiungere per sostenerti, non voglio combattere con te”, e il brontolio comincia a cambiare, forse si trasforma in tristezza, nel tono emotivo che si cela dietro alcuni dei nostri problemi ripetuti.

Sono emozioni semplici: tristezza, paura, insoddisfazione. Siamo affamati del calore dell’amore, temiamo di perdere l’amore e le relazioni, ci rattristiamo per una loro perdita. Qualunque sia la qualità del cuore, potremmo chiamarla amore. E’ qualcosa di fondamentale per il tuo benessere e la tua completezza. Quello che ci serve è riconoscere che il fallimento, questo sentirsi inadeguati, questo non aver fatto mai abbastanza per… e vorrei averlo fatto, emerge, e la sua tonalità è la tristezza; a quel punto potresti percepire un brivido, un tremore o qualcosa che si squilibra e noi teniamo con noi la tristezza mentre continuiamo ad espandere la nostra attenzione di nuovo in quella cornice, mantenendoci nel corpo, inspirando ed espirando, lasciandola fare quello che fa. Lasciando che la rabbia segua il suo corso, l’intelligenza del vivente lo permette, fa parte del corpo emotivo naturale. Il corpo emotivo inizia a guarire se stesso.

Mentre l’identità ci minaccia con la storia, con le identità degli altri e con la nostra identità, si preoccupa, critica e si lamenta, e non fa niente di utile, introduce solo energia tossica nel sistema, non fa niente di buono. È comprensibile ma in realtà è tossica, e sembra che ci siano molte cose problematiche che necessitano di guarigione, ma non in una logica chirurgica.

Possiamo anche analizzare il termine che il Buddha usava per descrivere questa via di mezzo. ‘Samma’ è una costante, samma, samma, samma, un mucchio di ‘samma e così via. Indica ciò che è giusto: questa è la giusta visione, la giusta parola, il giusto intento, la giusta azione, e così via.

Normalmente il nostro senso di giusto si colloca sullo sfondo di un possibile concetto di sbagliato, quindi abbiamo un dualismo, giusto e sbagliato. E il fondamentalismo lì inizia a farsi strada; “giusto” è una parola fondamentalista ma noi non vogliamo questo.

Questa è solo una traduzione in inglese, ma vorrei fare un paio di riflessioni; pensa al Buddha come qualcosa di intero, così il Buddha è samma, pieno, completo, assoluto, pienamente realizzato, con questa qualità, in senso olistico, completo. E’ interessante notare che se hai una certa conoscenza della lingua, puoi anche riconoscere che il Buddha utilizza l’insegnamento orale, i suoi insegnamenti si basano sempre sul suoni parlati. C’è la parola ‘samma’ e un’altra parola chiamata ‘sammà’, che suona molto simile. ‘Sammà’ significa ‘in accordo’, ed è associata all’accordo di uno strumento. Quindi è molto probabile che quando il Buddha si rivolgeva a persone che parlavano la stessa lingua , loro potevano riconoscere dietro alla parola ‘samma’ questa risonanza con ‘sammà’ poiché i suoni sono quasi identici, giusto “in accordo”.

Non troppo stretto, non troppo allentato. Eccoci di nuovo. Equilibrio. Via di mezzo. Intero, equilibrato, centro, completo. Quando abbiamo una visione complessiva, piena, ci rendiamo conto che è importante fare lo sforzo di tenerla nella mente, piuttosto che concentrarci sulle identità temporanee o sulle persone, persone separate, piccole sacche di carne isolate su un pianeta, così come appaiono.

Quello che abbiamo è una rete causale di cause e condizioni. Ognuno di noi è legato alla terra, all’aria, al respiro, all’acqua e alla vita vegetale. Siamo tutti connessi a questi elementi. Tutto è interconnesso, nato in una temperatura e in un’atmosfera specifiche che sostengono questa vita.

Ognuno di noi ha un padre e una madre. Ognuno di noi è amato e odiato, disprezzato e riaccolto. Ci formiamo attraverso queste condizioni formative, fisiche, biologiche, genetiche e psicologiche. Siamo tutti interconnessi in una rete causale.

Noi siamo consapevoli della rete causale, che crea certe realtà localizzate flessibili. E la questione dell’essere causati e condizionati implica che cause e condizioni possano essere effettivamente modificate e liberate.

Adesso, fisicamente, non è così semplice, ma ciò che veramente ci unisce sono le cause e condizioni psicologiche, i miei ricordi, le mie abitudini tutto questo. Quindi sono aspetti su cui posso lavorare. Le cause e le condizioni che generano l’identità qui, in lui, in me e negli altri, ma quello che viene effettivamente sperimentato non è me e loro; ciò che si prova è ansia e preoccupazione, desiderio e paura, lode e devozione, e questo è quello che accade. Anzi, è probabile che tutte queste cose psicologiche non avvengano separatamente. In effetti questo processo causale nella psicologia non è solo un evento isolato, ma un susseguirsi di esperienze.

La prima onda rappresenta una sensazione di riconoscimento, nel senso che, in primo luogo, c’è un riconoscimento dell’essere vivi, avere un cuore che batte e che cerca la felicità; e una qualità ed un senso dell’altro.

Quando cominciamo a concepire l’altro e che c’è una separazione. “Non so cosa vuole lui. Non so se io diventerò un fastidio”. C’è una piccola ansia… Quando percepiamo la condizione sensoriale, inizia a predominare e a generarsi un’idea di divenire, di separazione, quella persona è distinta da me.

Quindi, ho questa sorta di sensazione calorosa, ma sono un po’ nervoso su come attraversarla, perché siamo separati, e c’è un certo velo di ansia. Come farò a gestirla? Non so come affrontarla.

Ci sono due tendenze. Una è, “ non ne sono sicuro, ma è meglio che io cerchi di essere il più in forma possibile”. Dire la cosa giusta e avere il tempismo giusto. Questo è un aspetto. L’altro è assicurarsi che l’altro sia quello giusto.

Ma non penso che siamo molto interessato a lei o a lui, ora c’è qualcosa che non va. Ci sono queste tendenze quando c’è un’”infiammazione” e l’esperienza dell’identità “si infiamma”, e pensiamo che in realtà probabilmente non siamo abbastanza bravi per provare a essere qualcosa di diverso da come sono, perché più l’identità si infiamma, più l’ansia che non è stata liberata rimane lì e provoca sempre più sentimenti di inadeguatezza. Quindi, oltre un certo limite, ci arrendiamo, basta, purché si risolva. Ma come smaltire questo tremore dell’ansia se non la si gestisce? Sei in un’esperienza separativa, l’ansia è assolutamente normale.

Quando ci troviamo in una condizione di separazione, ciò ne fa parte. Non sappiamo mai cosa succederà in futuro quando ci troviamo in questa condizione di separatezza. Una volta che siamo in una condizione di separazione, siamo nel mondo del divenire, l’ansia è parte di questo.

E poi ci sono tutte le cose che facciamo per assicurarci di essere abbastanza bravi , abbastanza al sicuro, abbastanza in forma, abbastanza realizzati. Tutto questo cresce e porta a una pressione sociale sempre crescente. Assicurati di vestirti bene, di parlare in modo appropriato e di apparire bene, e tutto questo si intensifica.

E poi c’è l’opposto, al diavolo tutto ciò. Sarò uno sfaticato. Se non ti piaccio, chi se ne importa, e tutti gli altri estremi. È un po’ come oscillare.
Ma, aspetta un attimo, usciamo da tutto questo, facciamo un passo indietro e torniamo ai fondamentali, usciamo da questo squilibrio di cause e condizioni, cause e condizioni, cause e condizioni, cause e condizioni.

È solo una rete di cause e condizioni. Accogliamola con benevolenza, indugiamo in essa, stiamo con essa, teniamola a mente, cerchiamo l’agio in essa, stabilizziamo il nostro corpo in essa. Aprite la vostra facoltà di sentire con questo nella mente, aprite la porta dei vostri sensi con questa qualità nel cuore.

Parti da qui e vedi cosa succede. Almeno non perderai l’equilibrio e non ti perderai d’animo. E forse questo si trasformerà in compassione, gioia partecipe o semplicemente in equanimità.

Resta qui, non c’è bisogno di sentirti frustrato. Rimani lì, nel tuo centro, c’è una pienezza di cuore che non deve essere abbandonata. E poi andiamo oltre, anche se, naturalmente, è molto toccante e impegnativo.

Le persone passano e vanno… Questa è la loro vera natura: sono fenomeni separati. Quando siamo nel mondo della separazione e del divenire, si vede tutto sotto questa luce: si vedono e si sentono le cose in modo che la coscienza opera attraverso questo. “Lei c’era e ora non c’è più”.
Morto, andato via, partito, finito, via, fuori oh cielo. C’è un insegnamento fondamentale riguardo il dolore del divenire. Una volta che hai creato una struttura, puoi essere certo al 100% che si romperà.

Questo non vale solo per l’orario dei treni, che è una struttura destinata inevitabilmente a rompersi. Riguarda anche la struttura della personalità. Anche la condizione fisica come struttura, non ti allarmare, è così che funziona.

Dobbiamo quindi mantenere il cuore tranquillo. Tutto ciò che è cambiato è che i fenomeni visivi non vedono più quella persona. Eppure, il cuore rimane lì. Il cuore rimane lì perché funziona così, vero? Le persone tornano alla mente dopo tanti anni.

E forse c’è un inevitabile senso di tristezza perché, sai, non possiamo avere le interazioni dato che la persona è scomparsa, apparentemente. Ed è così importante, quindi, compensare questo shock del mondo del divenire, con le sue spigolature e le sue rotture, sviluppando un cuore buono.

Viva, morta, vicina, lontana, non importa Sviluppando questo, poi troviamo un equilibrio. E riusciamo a stare con il cambiamento, non ne siamo distrutti. E in questo modo riconosciamo che inevitabilmente è importante per noi quando c’è la possibilità di interazione che rende le cose autentiche. E così tutto è privo di imperfezioni, come ci permette di capire la nostra pratica.

Dunque, le persone rimangono con noi e continuano a essere guidate, e noi agiamo ancora come guida per gli altri anche quando le nostre forme fisiche non ci sono più, come nell’esempio del Buddha. Questa coltivazione della benevolenza è fondamentale per agire come un contrappeso o un’alternativa ai modelli identitari. Non è necessario avere un’identità per avere benevolenza.

Non fraintendere quello che dico; tu hai sicuramente una presenza, c’è energia, c’è cuore, c’è vitalità e c’è consapevolezza, assolutamente. Non è necessario mettere tutto in quella piccola scatola con un nome scritto sopra, non devi farlo, non hai bisogno di metterlo in un foglio di calcolo per capire quanto sia buono, quanto sia grande il tuo amore. E francamente, non penso che il tuo amore e la tua gentilezza siano sufficientemente buoni, almeno non quanto i miei!! E oggi, che punteggio hai fatto? Quindi non è necessario nemmeno che tu faccia questo.

Quindi, più riesci a liberarti dal peso di quanto sei bravo e per quanto tempo lo farai, più ciò cresce da solo, perché questa è la natura delle cose. Quando esci da questi stati compressi, prima di tutto, ti senti un po’ disorientato, perché siamo abituati a vivere in maniera compressa e non sappiamo esattamente come dobbiamo sentirci, agire o comportarci, e ci risulta un po’ strano.

Stiamo semplicemente procedendo, va bene, questo fa parte del processo. È normale sentirsi strani e disorientati, bene, continuiamo, accettiamolo e viviamolo. Va bene, tutti si sentono strani, siamo tutti in questa situazione, oh, niente pressione, niente pressione, niente spingere o tirare, nessuna richiesta o rifiuto. Impari a conoscere la tua benevolenza attraverso il tuo stesso processo di crescita.

Benevolenza verso il proprio processo di crescita, proprio come si ha benevolenza nei confronti di un bambino che fa i primi passi. Anche se fa due passi e cade, non si dice ‘sei un idiota, torna al tuo posto’ E’ la stessa cosa. Va bene, due passi sono meglio che niente. Quindi, riprendiamo tutto da capo e torniamo a uno stato sano, piuttosto che a uno stato di identificazione. Ora, anche se stai meditando, lo sai, stai praticando questa cosa chiamata meditazione che, sotto certi aspetti, può diventare una trappola per le fobie. Questa consapevolezza costante e incessante richiede una diligenza continua riguardo a questo vacillare di fronte al dolore. Oh no, lì c’è un po’ di vacillamento.

Magari essere calmo e sereno…. No, no, devi solo entrare nello stato di vivente del tuo corpo e starci a contatto in modo amorevole, e ti verranno in mente tutte le stupidaggini, come le derisioni del pubblico e il giudice che si trova nella tua testa.

E pensi ok ragazzi e fate un passo indietro. State invadendo il mio spazio. Tutto questo succede quando cerchi di mantenere il tuo focus al meglio, senza farli entrare. Loro sono lì, ma non li fai entrare.

Questo è dove sono io. Voi restate fuori, per favore. Grazie mille. E poi, lo sai ci sono critiche e dubbi. Com’è stare così? Voglio dire c’è la tua presenza e ci sono veramente tante energie stressanti, angosciate e confuse, queste voci, questi suoni, queste emozioni.

Ci sono energie confuse, doloranti, irritanti, che si lamentano, c’è tristezza. Oh, oh, serve compassione. Ti espandi in questo. La tua consapevolezza può allargarsi, sai, per includere queste esperienze. E tutte tendono, con un tocco di consapevolezza, a diventare come neve sull’acqua.

Gocciola e c’è neve sull’acqua. Sì. Perché se non c’è il prendere, il combattere, l’adottare, il credere, il rifiutare, tutta questa energia coinvolgente, non ha dove posarsi.

Non c’è la carta moschicida. E così, le mosche restano mosche; non abbiamo la carta moschicida. Sai, è un’esperienza molto viva. Una cosa che conosciamo nella vita è che essa è in continuo movimento. Tutto si muove: il respiro si muove il battito del cuore pulsa, i tessuti si ammorbidiscono, si irrigidiscono e si spostano delicatamente.

Questo è parte della condizione di vivente. Non siamo realmente fatti di bronzo o pietra, ma di carne e sangue, vivi. Quindi, piuttosto che limitarci, sfruttiamo appieno il nostro stato di esseri viventi. Ora, ovviamente, potresti dire che una delle cose fondamentali dell’essere vivente è che respira. Stai con il respiro, e non concentrarti solo sulla sensazione, stai realmente con la fluidità di questa esperienza, di questa energia che scorre attraverso di te, apriti ad essa. Lascia da parte l’idea di respirare e senti davvero ciò che accade a ogni tessuto del tuo viso e della tua pelle. Entri nella pienezza, nel “samma” che respira completamente, metti in primo piano il respiro.

Osserva come sembra sollevarsi e raggiungere una pienezza, poi sembra ritirarsi, fluttuare e ritornare, capisci? È come un nastro, come un cerchio. Ora, nel senso comune, potremmo pensare ci sia un respiro dopo l’altro.

Da dove viene il prossimo respiro? Nè si sa dove dovrebbe andare. Forse è solo un unico respiro. Inizia quando usciamo dal grembo materno e scorre attraverso queste forme fino all’ultima, fino ad ora.

E ha una forma che ipnotizza, affascina. Arriva alla sua pienezza e poi svanisce, si immerge sotto l’orizzonte sensoriale, e poi torna a risalire come il sole. Sorge come il sole, tramonta come il sole, e ritorna ancora, proprio come fa il sole, apparentemente.

Come fa a sapere dove tornare? Come sa il sole dove tornare ogni giorno. Perché non va da nessuna parte. È solo che la nostra coscienza sensoriale non riesce più a tracciarlo. È come il respiro. Sai, a volte dici: ‘Non riesco a sentire l’aria’, ma riesco a percepire un’energia che si sposta, si stabilizza, dura un momento e poi riprende.

È ritmico. Quindi segui il suo pieno ritmo. Ciò che è interessante è che arrivi alla fine del respiro, a quello che pensi sia la fine del respiro e la mente inizia a chiedersi: quando ci sarà il prossimo respiro?

Lo sto perdendo? Ferma tutto questo. Fidati del processo. E la tua mente si destruttura. Perché a quel punto non hai nulla a cui aggrapparti, niente che tu possa far accadere. I programmi mentali non riescono a tracciare quel luogo dove il respiro scivola sotto la coscienza.

E poi ritorna…. Possiamo rimanere aperti? Perché qui il processo di divenire… si ferma. Ci sono luoghi dove non c’è tracciamento, non c’è divenire. E poi ritorna…

E mentre facciamo dimorare il nostro cuore sempre di più in questo, iniziamo a percepire alcune delle esperienze più significative che si manifestano quando il divenire si ferma. Non si tratta di nichilismo, è libertà.

Quindi, sanzione disciplinare. Non far cadere la palla. Quando la palla scompare, non lasciarla cadere.

[traduzione a cura di Silvia Ventriglia]