Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino la pace.
Io son come loro,
in perpetuo volo.
La vita sfioro
com’essi l’acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch’essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.

[“Gabbiani”, di Vincenzo Cardarelli]

Uno degli aspetti più belli dello stare al mare è la presenza dei gabbiani, osservare quando volano nel cielo e planano poi sull’acqua buttandosi in picchiata per acciuffare la preda avvistata. A volte sembra giochino allegri, a volte lanciano un “urlo” quasi inquietante come ad avvisare l’uomo dell’arrivo di qualche pericolo. Si racconta che i gabbiani siano sempre stati amici dell’uomo, in particolare di pescatori e marinai che, incontrandoli in volo, capivano di essere vicini alla terra ferma e quindi al sicuro. Passerei le ore a contemplarli, ascoltando il loro garrito. Accade spesso che amplifichino le emozioni che provo mentre li ascolto: se sono triste mi assale l’angoscia, se sono gioiosa, il cuore si apre alla vastità e alla bellezza dell’universo di cui mi sento piccola parte. Durante le vacanze estive al mare, vedendoli schierati a decine sugli scogli, ho provato un forte sentimento di libertà, e la voglia di recuperare spazio fisico e mentale, di cui avevo tanto bisogno. La loro casa, lo scoglio, è solo un posto sicuro da dove librarsi verso la luce del cielo ogni qual volta desiderino un nuovo volo e una nuova ricerca. Lo spazio nelle nostre vite è, invece, una dimensione che manca spesso, almeno a me. Troppe cose da fare e impegni da portare avanti che ci costringono sovente a rincorrere il tempo: è importante fermarsi e aprirsi alla spaziosità della nostra presenza per ritrovare la quiete. Forse anche i gabbiani sono animali un po’ inquieti, ma sanno trovare pace al momento giusto, o forse sono semplicemente più in grado di noi di stare nella mutevolezza delle emozioni e degli stati d’animo. Tempo fa, durante una camminata al mare, ricordo che all’improvviso ha iniziato a piovere intensamente. Io indossavo solo un leggero k-way che avevo portato per un’eventuale pioggerella, sicché dopo pochissimo tempo mi sono ritrovata fradicia dalla testa ai piedi. Ho cercato di rimanere asciutta più a lungo possibile nella speranza che smettesse, saltando le pozzanghere, camminando lungo i bordi delle case o sotto gli alberi. Ero parecchio distante da un possibile riparo e non sembrava affatto intenzionato a smettere, ma io continuavo nello sforzo di evitare di bagnarmi. Guardando l’orizzonte sul mare, ho visto i gabbiani che dondolavano sulle onde facendosi trasportare comodamente, sereni e incuranti della furia del temporale. Questo mi ha riportato ad un senso di pace e quiete e improvvisamente ho capito che dovevo arrendermi alla tempesta, smettere di resistere e semplicemente accogliere ciò che stavo vivendo. L’acqua che mi scorreva sul corpo si è trasformata da una minaccia ad una compagna di giochi e fonte di grande energia, dandomi sensazioni che ricordo di aver provato da bambina quando era bellissimo potersi inzuppare sotto la pioggia senza preoccuparsi di cosa dicessero gli adulti. Da questa prospettiva non contava più se fossi gabbiano, persona, mare, pioggia, o albero; sono diventata un’informe parte di tutto lo spazio aperto fuori e dentro di me, connessa con l’esperienza così com’è. Mi sono ricordata di tutte le volte in cui pensieri ed emozioni turbolente prendono il sopravvento e reagisco cercando di metterli da parte, di non sentirli, non riuscendoci. Quanta fatica facciamo nella nostra quotidianità per sfuggire al dolore, quando basterebbe stare con quel che accade avendo fiducia che nella presenza di ciò che ci capita, c’è anche la strada per superarlo. I gabbiani sull’onda ci mostrano la strada: imparare a stare con ciò che la vita ci sta presentando, anche se sofferenza e dolore, e scoprire così che lì c’è anche la quiete.

“Nel momento in cui accettiamo i problemi che ci sono stati assegnati, le porte si aprono”. Jalal ad-din Rumi

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