La santità non è affatto ciò che immaginiamo.
Oggi ho incontrato una schiera di primule
che chiacchieravano all’aria aperta
e facevano delle loro chiacchiere una preghiera
che saliva dritto al cielo.
II loro cuore era aperto alle piogge e alla siccità
e persino allo sradicamento.
Non scegliere tra ciò che viene,
era il loro modo impeccabile di essere sante.
Caro lettore, lettrice, bentornato/a in questa nuova pagina di “a modo mio”.
In un mondo spesso raffreddato da eccesso di tecnologia, superficiale nei rapporti umani, attaccato all’esteriorità, all’idea di perfezione, al possesso e all’illusione che tutto sia immutabile e “per sempre”, avverso ai cambiamenti della vita, individualista ed alienato dalla natura – e soprattutto ignaro di cosa ci faccia veramente stare bene – “Resuscitare” di C. Bobin rappresenta l’urgenza di scongelare i cuori, di tornare a vivere veramente la vita, le relazioni umane e il contatto con le meraviglie della natura con maggiore pienezza e profondità, autenticità e purezza di cuore, bontà e gentilezza, tornando a fare esperienza vera e diretta dei miracoli e dei misteri colorati e cangianti della vita, accoglierli, sentirli e viverli con cuore puro ed aperto alla realtà così com’è, con presenza pura e vigile, per scoprire che “in ogni momento c’e’ qualcosa che viene in nostro soccorso“, che può farci resuscitare, tornare alla luce: un raggio di sole che scalda, un albero che trema col vento, un passero che “parla”, una persona dal cuore nobile, un incontro vivo tra i cuori di più persone. “Un grammo di luce fa da contrappeso a diversi chili d’ombra“, scrive Bobin.
L’esistenza è intrinsecamente imperfetta, fatta di luci ed ombre, invecchiamento e morte. “Tutte le cose vive sono belle perché portano in sé il segreto della loro prossima scomparsa”: così anche un viso in lacrime brilla di luce, un volto con i segni del tempo è bello e la morte perde tragicità riacquistando la sua caratteristica di evento naturale: “la morte irradia con la sua innocenza, in qualunque momento compaia”. Non è possibile, secondo Bobin, conoscere davvero cosa ci sia dopo la morte, ma la morte non è la fine. Chi muore sopravvive in qualche modo, sotto forma di ricordo, di sensazione, di presenza che a volte appare “più viva che mai”: “in questo istante la vita non è persa, è cambiata”. Vedere e comprendere la vera natura in continua trasformazione della realtà richiede lavoro su stessi per uscire dal proprio piccolo io: “è possibile vedere bene solo a condizione di non cercare il proprio interesse in quello che si vede”.
Con una prosa intrisa di una non comune sensibilità poetica, tra meditazioni e quadretti di vita, Bobin ci catapulta in una dimensione contemplativa e lenta della vita, recuperando una pienezza e forza di vita capaci di inghiottire persino la morte. “La vita ci visita solo di rado. A volte c’è tutto a volte nulla”: resuscitare è “preservare un sì alla vita”, nonostante tutto.
Buona lettura e buone ispirazioni.
[Maurizio Brigandì, volontario progetto PienEssere APS]