Nelle praterie d’alta quota, Lithang, 1999 – 2000
A 4300 metri, tre donne, sedute sull’erba avvizzita, preparano il pranzo: tè, burro, tsampa (farina d’orzo tostato), formaggio secco e qualche mela. Da quel crinale la vista spazia lontano, sulle montagne delle nevi eterne e sulle praterie d’alta quota, sconfinate, ancora dormienti alla fine di maggio. Poco distante, una visione meravigliosa: un papavero giallo (Meconopsis integrifolia) si è portato avanti. I suoi fiori gialli risplendono sul manto grigio marrone che avvolge quelle pendici.
Le tre donna mi accolgono gioiosamente, invitandomi a sedere insieme a loro.
Accetto volentieri. Una di esse, di nome Drölma (al centro, nella fotografia) l’ho già incontrata. E’ una delle due persone che, a Lithang, conoscono qualche parola d’inglese. Drölma, insieme alla madre, ha vissuto per molti anni in India, tra la comunità di tibetani espatriati. E’ rientrata in Tibet da due anni, spinta dal desiderio di ritornare a vivere nella sua terra natia. Negli ultimi mesi, tuttavia, la sua situazione famigliare ed economica si è deteriorata. Il padre del suo bambino, un giovane uomo molto avvenente, l’ha abbandonata, negli ultimi anni un evento non raro tra la popolazione locale. Nella Contea di Lithang le separazioni sono in aumento. Uno dei motivi principali è che gli uomini, specialmente quando non hanno un lavoro fisso, trascorrono gran parte delle giornate bevendo e giocando d’azzardo. Il risultato è la dissipazione del patrimonio famigliare. Nell’ultimo decennio. grazie alle sollecitazioni del XIV Dalai Lama, che hanno raggiunto anche le regioni tibetane appartenenti alla Cina, il consumo di alcool e anche quello di tabacco sono fortemente diminuiti.
Drölma è dunque rimasta sola con la madre anziana. Quest’ultima bada alla casa mentre la figlia svolge lavori saltuari come la raccolta di piante medicinali e, specialmente, del fungo yartsa gunbu (Ophiocordyceps sinensis), prodotto ben pagato sul mercato locale, esportato nella Cina propriamente detta, dove è ricercato come tonico e afrodisiaco. Quel giorno Drölma è partita all’alba insieme a due amiche. Sarebbe rimasta a raccogliere lo yartsa gunbu fino all’imbrunire.
Un giorno sono ospiti presso la sua abitazione, una solida costruzione a due piani nei pressi del monastero. Internamente, è ancora in fase di sistemazione. Manca il denaro per proseguire i lavori. Trovare un buon impiego non è facile e, inoltre, non ci sono parenti e amici che possano aiutare le due donne. La madre è preoccupata per il futuro. Alla sua morte, Drölma si troverà sola con un figlio da crescere.
L’anno seguente incontro Drölma al mercato. Beviamo un tè insieme in un’osteria.
I suoi modi sono, come sempre, gentili. L’espressione rilassata del viso rivela che sta passando un buon momento. La madre e il figlio sono in buona salute e, da alcuni mesi ha trovato lavoro nell’amministrazione locale. Il salario non è elevato, ma sufficiente per vivere in maniera dignitosa.