
Lingkashi, il “Giardino felice”, Tibet orientale, giugno 2016
Per arrivare a Lingkashi occorre superare il passo che porta nella Contea di Bathang. Nei primi anni del secolo era frequentato da banditi, tibetani delle aree in quegli anni ancora remote. Nel “Giardino felice” le valli sono incassate, ricoperte di fitte foreste e pascoli lussureggianti e percorse da torrenti impetuosi.
Qui si raccoglievano le piante usate per fabbricare la carta, un’arte, a Lingkashi, non più praticata, ma, forse, neppure completamente dimenticata. Speravo di trovare qualcuno che conoscesse quelle piante. Contavo sull’aiuto di Gyurme che, on la sua auto, mi aveva accompagnato in quella regione. Oltre a essecre medico tibetano, Gyurme è anche uno studioso della storia di Lingkashi, sua terra natia, sulla quale ha da poco pubblicato un’opera. Viaggiavo insieme all’amico tibetologo Filippo Lunardo.
L’abitazione del rinpoche, un amico di Gyurme, del quale siamo ospiti, è un’imponente costruzione a tre piani. Vicino al portale d’ingresso si trova un muro mani con pietre magnificamente scolpite con mantra e immagini di divinità. Al primo piano, l’immensa cucina, arredata con mobilio tibetano, è dominata da una grande stufa decorata. Su una parete si trovano anche strumentazioni moderne. Ma è la cappella di famiglia l’ambiente più interessante: vi sono conservati thangka, statue di divinità, testi religiosi e, specialmente, una scultura in dimensioni reali del predecessore del rinpoche, suo padre, rappresentato in posizione seduta, con l’abito monacale. Appartenente all’ordine nyingmapa, era stato una delle personalità religiose più importanti di Lingkashi.
Sediamo intorno a un tavolo basso, insieme al rinpoche, un giovane uomo piuttosto in carne, curioso e aperto, a suo fratello e a sua sorella. Non riesco a partecipare attivamente alla conversazione, il dialetto locale è per me poco comprensibile.
Rifocillati con le prelibatezze tibetane e, specialmente, con eccellenti mele essiccate, partiamo insieme al reincarnato in direzione di Bathang. Scendendo, la valle si stringe ulteriormente. Incontriamo campi terrazzati, abitazioni di agricoltori e, sul fondovalle, nuove anonime costruzioni.
L’auto si ferma davanti a una casetta di legno. Il rinpoche bussa alla porta. Ne esce un uomo corpulento, con la testa rasata, il viso tondeggiante e una bisaccia a tracolla. E’ la persona che conosce le piante.
Lasciamo la strade che scende verso Bathang e penetriamo in una sorta di canyon. Dopo qualche centinaia di metri proseguiamo a piedi, seguendo una traccia che ben presto scopar. Continuiamo su un pendio scosceso tra cespugli e piante erbacee, fino a incontrare minuti alberelli con fusti esili, che non superano due metri d’altezza. La nostra guida estrae dalla bisaccia un coltello e, con destrezza, incide la corteccia legnosa della pianta e, tirando verso l’alto, ne stacca una lunga striscia. La sua parte interna, il libro, che include fibre lunghe, resistenti e flessibili, è il materiale ideale per la fabbricazione del prezioso supporto per la scrittura. Quell’esile alberello (Wikstroemia ligustrina) è una specie appartenente alle Thymeleaceae. Alcune specie di quella famiglia sono diffuse sull’altopiano tibetano e furono selezionate e raccolte per quello scopo fin dall’epoca imperiale (VII-IX secolo).
Foto: la nostra guida, assistita da Gyurme, mostra come si estrae il materiale usato per la produzione della carta, Lingkashi, giugno 2016