Incontro con un pellegrino – Lhasa, marzo 1995
Nella piazza antistante il Jokhang, un giovane khampa, un pellegrino in visita alla capitale tibetana, si avvicina, incuriosito, e mi rivolge la parola. Porta i capelli lunghi, raccolti in una treccia. Una fascia composta di fini cordicelle nere cinge il suo capo. Il viso allungato, con zigomi sporgenti, esibisce un paio di baffi. Sopra una camicia bianca di seta e un paio di pantaloni, indossa un’elegante chupa grigia. Il giovane sorride, un sorriso caldo e luminoso. Dopo alcuni convenevoli, Samten, questo è il suo nome, mi invita nella sua dimora per un tè. Accetto con piacere e curiosità.
Percorriamo, tra la gente, una parte del barkor, il percorso intermedio di circumambulazione rituale, che corre intorno al Jokhang, il tempio più sacro di Lhasa e del Tibet intero. Nei pressi della sua estremità orientale prendiamo un vicolo. Presto, il giovane si ferma davanti a una vecchia palazzina di pietra, a tre piani. La sua abitazione si trova al primo. Una scala buia conduce alla porta.
Entriamo in un locale angusto, priva di bagno, con una finestra minuscola che si affaccia su un cortile interno, La luce è scarsa, anche di giorno. Tuttavia, malgrado le apparenze, quell’ambiente ha un suo carattere. Entrando, sulla sinistra, si trovano, uno accanto all’altro, due letti di metallo, Dalla parte opposta, bauli di pelle e casse di legno sono appoggiati alla parete. Quest’ultima attira la mia attenzione. È quasi interamente ricoperta da diverse decine di fotografie e immagini di grandezza variabile. Ritraggono parenti e amici di quella famiglia, ma, specialmente, monaci, maestri, lama reincarnati con i quali quelle persone sono entrate in contatto e che rappresentano un riferimento per la loro fede e pratica religiose. Lo sono anche le immagini delle divinità e personaggi della religione buddhista che le accompagnano. Oggetti di culto sono appoggiati sulle casse e i bauli: un campanello, un rosario e un mulino di preghiera.
Samten getta nell’acqua una manciata di tè, aggiunge un pizzico di sale e lascia che la pozione continui a bollire per alcuni minuti. In seguito, usando una zangola di plastica, baratta il decotto insieme al burro. Assaporo con piacere quella bevanda calda, La temperatura all’interno di quell’ambiente è bassa. Il tè tibetano, più che una bevanda, è un alimento, una sorta di zuppa che fornisce calore, energia e contrasta la perdita di liquidi.
Discorriamo delle rispettive famiglie e delle nostre vite. Samten è originario di un villaggio situato vicino a Chamdo, una delle più importanti città del Tibet orientale.
È arrivato a Lhasa alla fine di febbraio insieme a suo fratello, monaco dell’ordine nyingmapa, dopo un viaggio in automobile durato quattro giorni. La sua famiglia pratica l’agricoltura e possiede yak e ovini. Durante la stagione invernale c’è poco da fare al villaggio e alcuni dei suoi membri si trasferiscono a Lhasa. Il tempo trascorso nella capitale tibetana è dedicato al riposo e allo svago, ma soprattutto alle attività religiose. Samten percorre i circuiti di circumambulazione rituale della città, visita il Potala, palazzo dei Dalai Lama, e, ripetutamente, il Jokhang, la San Pietro dei tibetani. Si reca alle cittadelle monastiche, Drepung, Sera e Ganden, che sorgono nelle vicinanze.
Il giovane ha con sé anche dei prodotti della sua regione. Cercherà di venderli ai mercanti locali e ne acquisterà altri da rivendere nel suo villaggio. Come in molti luoghi sacri del Tibet, anche a Lhasa pellegrinaggio e commercio si sovrappongono e si completano e non sono percepiti come attività contrastanti.
Foto: Samten, pellegrino del Tibet orientale.