Il papavero himalayano

Khumbu, Nepal, agosto 1998

D’estate, quando le nuvole avviluppano le cime immacolate e la pioggia è consuetudine, Pheriche è un luogo frequentato esclusivamente dai pastori Sherpa e dagli yak. Vi sono giunto superando piccoli villaggi e monasteri, circondati da foreste di betulle, abeti, ginepri e rododendri contorti.
Qui la valle si apre improvvisamente. La delimitano alte cime delle nevi eterne.
Rimangono celate per tutta la giornata, ma la loro conformazione, rilevata durante viaggi precedenti, è ancora vivida nella mia mente.
Cammino per estese praterie. Numerose specie erbacee sono in fiore. Tappeti di muschi verdissimi crescono sui terreni umidi, vicino all’acqua. Lo sguardo spazia lontano, sino alle pendici del ghiacciaio che nasce ai piedi del Chomolungma, “Dea madre della terra”, conosciuto anche come “Everest”. Inizia a piovere, una pioggia fitta e sottile.
Nelle località riparate incontro ancora rododendri e ginepri, ora bassi arbusti dal portamento prostrato. I fiori bianchi dei primi emanano una fragranza dolce e intensa. A folate, diffonde nell’aria. Quei fiori, insieme alle foglie, rappresentano uno dei più apprezzati ingredienti per la composizione degli incensi tibetani, La loro fragranza è assai gradita alle divinità e agli spiriti che, numerosi, abitano le montagne delle nevi eterne, le rocce, le sorgenti, i laghi e gli alberi. Sono le divinità della cosiddetta “religioni popolare tibetana”, esse hanno la padronanza sul territorio. Vanno rispettate, soddisfatte e, se necessario, pacificate.
Nel mezzo della prateria, un papavero himalayano mi accoglie solitario, un esemplare di rara bellezza con fiori azzurri all’apice di steli irsuti. È un’apparizione improvvisa, che lascia senza respiro. Quel fiore rappresenta uno degli emblemi della natura himalayana e tibetana, di quella più selvaggia e incontaminata, che resiste nelle valli remote e meno frequentate.
Il papavero azzurro evoca anche il complesso mondo delle divinità buddhiste, che popolano i templi di questa valle remota. Drölma (Tara), la liberatrice e protettrice, una delle divinità più venerate dai tibetani, in alcune sue raffigurazioni, tiene, nella mano destra, un papavero simile a quello che ho incontrato. Utpal è il suo nome tibetano, mutuato dalla tradizione indiana. Quest’ultima indica con esso il loro blu, Drölma è l’equivalente femminile di Cenresig (Avalokiteshvara). il bodhisattva della compassione. Rappresenta la gioia che appare come un lampo, la gioia non condizionata, non creata, esperienza dirompente che va al di là del pensiero, senza aspettative, una gioia che si manifesta in noi improvvisamente, frutto di azioni passate. È un abbraccio sostenuto al nostro essere, che non ci fa cadere, come l’abbraccio di una madre.
ll papavero himalayano e la natura sublime che lo circonda sono come un abbraccio che mi sostiene, una fonte di energia che alimenta la gioia e l’amore per la vita.

Foto: Drölma (Tara), Gyantse, Tibet