Il Buddha “Maestro dei rimedi”, Dhorpatan, Nepal, 1998

Gege La, il medico tibetano del quale ero diventato discepolo, proveniva dal Tibet orientale. Era arrivato in Nepal come fuggiasco, dopo un lungo viaggio attraverso pericolosi passi himalayani, quelli meno sorvegliati dai militari cinesi.
Gege La era anche un maestro reincarnato, appartenente alla religione minoritaria tibetana chiamata bön.
All’inizio degli anni 90 del secolo scorso, si era trasferito a Dhorpatan, località di una valle remota del Nepal occidentale, nei pressi di un insediamento di profughi tibetani. Aveva accettato l’invito, da parte delle autorità del governo tibetano in esilio, di fondare una scuola di medicina.
Lassù, a Dhorpatan, mi ero fermato a lungo, per studiare insieme a Gege La, in un piccolo monastero bön, circondato da foreste di conifere, betulle e rododendri.
Oltre all’insegnamento e all’esercizio della professione medica, oltre alle attività relative alla raccolta delle sostanze medicinali e alla produzione dei farmaci, il maestro si dedicava alla pratica meditativa e, specialmente, all’esecuzione di rituali relativi alla divinità Sangye Menla, il “Buddha maestro dei rimedi”, conosciuto come il Buddha della medicina. Aveva ricevuto dal suo maestro l’iniziazione a quella divinità e quei rituali erano anche di beneficio per la salute emozionale, mentale e fisica di tutti gli esseri senzienti.
La pratica religiosa era, secondo Gege La, un aspetto fondamentale della professione medica. Attraverso di essa, il medico cercava di realizzare quelle qualità e virtù proprie del supremo guaritore, il Buddha “Maestro dei rimedi”, come compassione, consapevolezza, dedizione, purezza d’intenti, stabilità e apertura mentale.

Il Buddha “Maestro dei rimedi” rappresenta un’estensione logica del Buddha storico Shakyamuni, il cui messaggio fondamentale riguardava la possibilità di estinguere la sofferenza presente in tutti gli esseri senzienti, sofferenza intesa nel senso più ampio del suo significato.
Le connessioni tra il Buddha Shakyamuni e l’arte medica sono molteplici. Tre degli eventi che scossero l’animo del giovane principe Siddhartha e lo spinsero a lasciare gli agi della casa paterna per dedicarsi alla vita ascetica, riguardano proprio la medicina: la visione di un vecchio, di un malato e di un cadavere.
Le quattro nobili verità, enunciate per la prima volta dal Buddha storico nel parco delle gazzelle a Sarnath, nei pressi dell’odierna Varanasi, la verità della sofferenza, la verità della causa della sofferenza, la verità dell’estinzione della sofferenza e la verità del sentiero che permette la sua eliminazione, sono equiparabili al modo di agire di un medico nell’individuare la malattia, stabilirne le cause e elaborare e somministrare una terapia.
Fu lo stesso Buddha storico, secondo alcune versioni della parte del Canone buddhista dedicato alla disciplina monastica, a prescrivere, tra gli oggetti che ciascun monaco poteva possedere, le medicine. Mantenere il corpo in buona salute era fondamentale per affrontare le pratiche psico-fisiche di quella tradizione religiosa. Con il passare dei secoli, la medicina acquisì, dunque, grande importanza nella comunità monastica fino a diventare uno dei principali insegnamenti.

Foto: Sangye Menla, Lhakhang Soma, Alci, Ladakh 2013