“Se metto in conto quanto c’è voluto di costanza nella grandezza d’animo e d’accanimento nella generosità per ottenere questo risultato, l’anima mi si riempie di un enorme rispetto per quel vecchio contadino senza cultura che ha saputo portare a buon fine un’opera degna di Dio.”

“L’uomo che piantava gli alberi”, Jean Giono

Quanta bellezza e speranza porta con sé un gesto semplice come piantare un albero!

Di recente il tema del piantare alberi mi torna spesso alla mente, non perché sia di moda il green, e neanche perché sono in attesa di piantare un secondo alberello di fichi in campagna, spinta dalla mia golosità, bensì per il prorompere della natura nelle ultime settimane.

E allora ho scoperto che in varie parti del nostro pianeta abitano esseri speciali che hanno dedicato e dedicano il loro tempo e le loro energie a piantare alberi. Ai piantatori di alberi che ho scoperto e a tutti quelli che non mi sono noti, dedico questo scritto affinchè sia di ispirazione per tutti noi.

In Burkina Faso, un paese dell’Africa occidentale, si rese necessario a metà degli anni 70 contrastare niente di meno che l’avanzata del deserto. Yacouba Sawadogo, contadino di un villaggio della regione settentrionale, insieme alla sua famiglia, ha piantato alberi in misura tale da far crescere una foresta di decine di ettari ai margini del deserto del Sahel. Raggiungendo lo scopo, ha donato alla sua gente la ricchezza di alberi e piante, molte delle quali commestibili e anche curative. Inizialmente preso per matto e deriso, ha caparbiamente messo in pratica un’antica tecnica agricola africana chiamata Zai. Il che gli è valso il soprannome di Yacoub Zai e nel 2018 il Right Livelihood Award, noto come Premio Nobel alternativo, “per aver trasformato un terreno arido in una foresta e per aver dimostrato come gli agricoltori possano rigenerare il suolo attraverso l’uso innovativo di conoscenze indigene e locali”. La tecnica dello zai consiste nello scavare buche durante la stagione secca per trattenere l’acqua. Yacouba allargò le fosse e le ricoprì di foglie e letame per attirare le termiti, le quali scavano cunicoli che trattengono l’umidità e digeriscono il letame rimineralizzando il suolo. Nelle buche piantò piante alimentari quali miglio e sorgo, ma anche alberi che fanno ombra e concimano il suolo con le loro foglie. La storia di quest’uomo coraggioso e saggio, che negli anni ha insegnato l’antica tecnica a tanti altri contadini moltiplicandone l’effetto, è narrata in un documentario del 2010 diretto da Mark Dodd: The man who stopped the desert, L’uomo che ha fermato il deserto (https://youtu.be/KOIWJFzx68E).

Sempre in Africa, in Kenya, si incontra la storia di Wangari Maathai, biologa, ambientalista, attivista per i diritti delle donne, premio Nobel per la pace nel 2004. Nel 1971, prima donna dell’Africa centro-orientale a ottenere questo traguardo, conseguì il dottorato presso il dipartimento di anatomia veterinaria dell’università di Nairobi. Resasi conto che la riduzione della povertà passava attraverso la salvaguardia del territorio garantita dall’attività delle donne, fondò nel 1977 il Green Belt Movement, associazione non governativa finalizzata a combattere la deforestazione e lo sfruttamento del suolo, e le disuguaglianze di genere attraverso la promozione del lavoro femminile. Oggi, a distanza di circa quarant’anni, gli alberi piantati in Kenya, soprattutto grazie al coinvolgimento delle donne, sono oltre 50 milioni fra alberi indigeni, arbusti e alberi da frutto. La sua storia è stata di ispirazione per un giovanissimo tedesco, Felix Finkbeiner, che, tramite l’associazione Plant for the planet da lui fondata, nel 2020 aveva già piantato 15 milioni di alberi in tutto il mondo.

Anche al di là dell’oceano, in India, troviamo un instancabile piantatore di alberi, Jadav Molai Payeng. Nel 1979, adolescente, assistette impotente allo scempio causato da diverse gravi inondazioni nella sua regione dell’India settentrionale, l’Assam. Di fronte alla mancata volontà di intervento da parte delle istituzioni, Jadav Payeng decise di restituire alla sua terra e agli animali che la abitavano la foresta che era andata distrutta, e con le sue proprie mani, albero dopo albero, ripiantò in 40 anni 550 ettari di rigogliosa foresta. I numerosi riconoscimenti ricevuti da quando la sua silenziosa quanto meravigliosa opera fu scoperta per caso da un fotografo, non hanno modificato la sua vita. Jadav Payeng, incarnando la forza e la saggezza degli alberi, continua giorno dopo giorno a piantarne di nuovi e a prendersi cura di quelli già cresciuti, dimora e nutrimento per animali grandi e piccoli, dagli elefanti alle tigri, dai serpenti ai numerosissimi uccelli. E’ soprattutto a queste creature che quest’uomo, il “Forest man of India”, dedica il suo lavoro, affermando che finchè ci saranno alberi, spazio e, quindi, risorse sufficienti, gli animali, anche i più grandi e potenzialmente distruttivi, non entreranno in conflitto con l’uomo. Vari documentari raccontano la sua vita, fatta di incredibile costanza, semplicità e amore, fra cui il pluripremiato documentario di William Douglas McMaster intitolato “Forest man” del 2013 ( https://youtu.be/uIngi7iitvc).

Queste persone sono esempio concreto di cosa significa “essere il cambiamento che si vuole vedere nel mondo”, come auspicava Gandhi, padre di questo messaggio. Ognuno di noi può fare la differenza, ognuno di noi può essere un pacifico guerriero che mette in azione la propria forza e consapevolezza e che, attraverso l’azione, si prende cura di sé e degli altri esseri.

La guida spirituale Mata Amritanandamayi (Amma) invita a piantare alberi e definisce questo gesto un atto altruistico e una vera e propria benedizione. “Come noi godiamo della presenza di alberi piantati da altri in passato, così anche noi dovremmo piantarne per le generazioni future”. La messa a dimora di numerosissimi alberi in varie parti del mondo è avvenuta grazie a GreenFriends, un’organizzazione creata dall’Ashram di Amma per la protezione e la conservazione dell’ambiente. “Fa parte del nostro dharma prenderci cura della Natura per la semplice ragione che è la nostra vera madre”.

Il generoso gesto di piantare un albero diventa cura della terra, delle creature che lo abiteranno e se ne ciberanno, diventa nutrimento di bellezza per quanti lo incontreranno anche solo con lo sguardo, ma anche potenziale occasione di lavoro interiore, radicamento e crescita attraverso il riconoscimento dell’inter-essere, di cui si è fatto promotore un altro amato leader spirituale, Thich Nhat Hanh.

E allora, accogliendo l’invito amorevole dei Maestri e l’esempio prezioso di chi ci ha preceduti, nella propizia stagione primaverile in cui ci troviamo, potremmo anche noi diventare generosi piantatori di alberi.

Mata Amritanandamayi (Amma)

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