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Un eremo non è un guscio di lumaca | Adriana Zarri

Al cuore del libro

“Qualcuno mi chiede, con sorridente ironia, “non piove mai nel suo eremo?”; e la benevola “provocazione” giunge a proposito per darmi modo di fare alcuni chiarimenti. Anche all’eremo piove: piove il cielo aggrondato e piove la vita, con tutti i pesi e le fatiche che gravano su ogni dimora e su ogni uomo. Eppure la pace è sotto a tutto questo: un lago profondo e quieto, appena increspato in superficie”

“Vorrei infine demitizzare la figura dell’eremita (…); ritengo che la normalità sia un gran valore, perseguibile in ogni situazione, e che la rinuncia di stili di vita eccezionali sia anch’essa una forma di povertà  e di semplicità evangelica”

 

Quante volte ho pensato che la vita è faticosa ed io sono stanca, che accadono  troppe cose, troppo in fretta, che troppe sono le persone che mi circondano e ognuna vuole troppo da me, che le mie giornate assomigliano alle grandi manovre di un esercito pronto per la battaglia e che sì, vorrei rallentare, vorrei meno rumore, vorrei cambiare vita e, alla fin fine, vorrei fuggire, da tutto, da tutti. E quando penso alla fuga penso ad un eremo, ad un luogo isolato, magari in alta montagna oppure un faro solitario ed abbandonato. E cullo l’idea romantica di una vita in solitudine, lontano da ogni affanno, dai problemi e dai pesi quotidiani. Una sorta di felicità sospesa, magica, lontano da qualsivoglia cruccio.

Oppure penso la mia vita troppo poco, banali le cose che si susseguono nelle mie giornate, giorni uguali che si rincorrono, desidero ciò che non ho. Ed anche qui, vorrei trovare una formula magica con cui cambiare vita, e riempirla di cose straordinarie.

Bello sarebbe, parafrasando il titolo del libro, avere con sé un guscio, come la lumaca, e lì trovare rifugio ogni qualvolta è troppo, una sorta di ricovero sempre a portata di fuga.

Voglio un luogo dove nascondermi, un luogo dove trovare quiete.

Voglio una vita felice, senza pesi, senza problemi, senza crucci. E senza dolore, soprattutto senza dolore.

E allora un luogo solitario mi sembra la soluzione ideale. “Ma con il silenzio bisogna misurarsi per giorni e mesi, nella nebbia, nel freddo, senza vedere nessuno; alle prese con i tubi dell’acqua gelati, col fumo delle stufe a legna, con gli stoppini delle lanterne a petrolio.” Perché “la solitudine è un vivere dentro. (…) La solitudine non è una fuga: è un incontro, così come il silenzio è un continuo, ininterrotto dialogo”

Faccio un respiro profondo.

Forse la quiete che cerco non abita in un luogo fisico, nel faro fra le pietre, o nella casa nel bosco…

Respiro profondo, mi fermo.

“Non c’è rifugio più nascosto, segreto e introvabile della normalità”

Penso a quanto è difficile abitare la normalità, abitare il quotidiano, abitare l’istante. Perché si è sempre di corsa, nulla basta mai. Vorrei più cose, più esperienze, più saggezza, più… tutto. Ho paura di non essere mai abbastanza e penso che, magari, lontano da tutto, io possa trovare frammenti di pace, fermare il turbinio del desiderio, il volere essere sempre altro.

Ma se il turbinio è in questa irrequietezza forsennata non è certamente un luogo geografico a restituirmi pace. S. Agostino diceva di tornare in sé stessi perché è lì che abita la verità. Tornare a sé, al centro del proprio cuore: “Essere normali non significa rinunciare alla propria identità (…) ma solo viverla in modo semplice”

Adriana Zarri è una grande e coraggiosa donna contemporanea. Nel piccolo libro che ti suggerisco meditazioni e pensieri si intrecciano alla nascita di pulcini, al lento succedersi di giorni e stagioni, ai lavori dell’orto. Il tutto narrato con voce poetica, profonda, piena di stupore, una sorta di contemplazione della vita in ogni sua forma, difficoltà comprese.

“Io sto imparando questo: a non pensare al dopo, all’altro lavoro che mi aspetta, ma a consegnarmi totalmente a quanto sto facendo, come se fosse l’unica cosa da farsi. Nei limiti del possibile cerco di evitare non solo l’affrettarsi psicologico ma anche la corsa materiale. Piuttosto cancello qualcosa, elimino impegni, accetto concretamente il limite. Posso giunger perfino, qualche volta, a ridurre il tempo della preghiera formale, se deve essere a prezzo di una corsa sull’epidermide delle cose; e, in questo caso, non è un restringere l’area contemplativa: è, al contrario, ampliarla, dandole spazio e respiro (…) nella vita”

Buona lettura, amico mio. E fra una pagina e l’altra sorprenditi a contemplare lo spicchio di cielo che vedi dalla tua finestra.

 

Adriana Zarri, Un eremo non è un guscio di lumaca

 

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