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Nudo uscii dal seno di mia madre

Al cuore del libro

 “Nudo uscii dal seno di mia madre,

e nudo vi ritornerò.

Il Signore ha dato, il Signore ha tolto

sia benedetto il nome del Signore”

“Comprendo che puoi tutto

e che nessuna cosa è impossibile per te.

(…)

Ho esposto dunque senza discernimento

cose troppo superiori a me, che io non comprendo.

Ascoltami e io parlerò,

io ti interrogherò e tu istruiscimi.

Io ti conoscevo per sentito dire,

ma ora i miei occhi ti vedono”

 

Amico lettore, oggi vorrei condividere con te un libro che amo molto. Vorrei aggiungere il mio libro preferito in assoluto ma, amando leggere, di libri preferiti ne ho molti. Questo è senz’altro fra quelli. Vorrei chiederti gentilmente di non precluderti, a priori, il piacere di avere fra le mani questo gioiello del pensiero. Lo so, è un libro della Bibbia. Penserai ad un librone noioso ed incomprensibile ma io aggiungo anche storie epiche, battaglie, personaggi memorabili, grandi epopee, alta poesia, pagine di rara saggezza.

Io sono cresciuta con la Bibbia: un grande sacerdote, a me, poco più che ragazzina, ha messo la Bibbia in mano e, con dispense e spiegazioni, mi ha detto “leggila, è Dio che parla all’uomo”. Ed io l’ho letta. E non l’ho lasciata più.

Dunque ascolta, c’era una volta…

C’era una volta un uomo giusto “integro e retto”, il “più grande fra i figli d’oriente” che viveva tranquillo e beato, molto ricco, e con una bella famiglia, pensa, sette figli e 3 figlie.

Un bel giorno, Dio e satana si incontrano, chiacchierano, Dio si vanta della rettitudine di Giobbe –vorrei ti immaginassi la scena- e satana ribatte che è facile essere giusti quando si ha di tutto, “tocca quanto ha e vedrai come ti benedirà in faccia”. Dio autorizza satana a provare la fede di Giobbe ma, si raccomanda, di risparmiare la sua vita.

Hanno inizio così le disgrazie di Giobbe in un crescendo degno della migliore suspance: prima perde i suoi averi –le cose-, poi i figli –gli affetti-, ed infine la salute “una piaga maligna, dalla pianta dei piedi alla cima del capo. Giobbe prese un coccio per grattarsi e stava seduto in mezzo alla cenere”. Il dolore di Giobbe è straziante.

Arrivano i suoi amici per dargli conforto ma non lo riconoscono, così “si sedettero accanto a lui in terra, per sette giorni e sette notti, e nessuno gli rivolse la parola, perché vedevano che molto grande era il suo dolore”.

Ed allora la domanda, prima sussurrata, qui diventa un boato: perché il dolore, iniquo, ingiusto, irrompe nella vita di un uomo buono? E che cosa c’è di più universale della domanda sul senso della vita, quando le disgrazie ti colpiscono senza un minimo di pietà?

Giobbe ed i suoi amici parlano fra loro, fanno ipotesi, una qualche ragione ad eventi tanto dolorosi quanto ingiusti; di fatto la storia pone le cause in un non sense, una sorta di sfida fra Dio e satana: il secondo sostiene che la rettitudine di Giobbe non reggerà di fronte alla malasorte, il primo è convinto del contrario. Giobbe è disperato -“perché non sono morto fin dal seno di mia madre” –

Allora interviene Dio stesso, “il Signore rispose a Giobbe in mezzo al turbine”, indignato per avere udito “parole insipienti”. La risposta di Dio è epica e grandiosa, una lode alla creazione “dov’eri tu quando io ponevo le fondamenta alla terra?”, “Da quando vivi hai mai comandato al mattino e assegnato il posto all’aurora?” “Chi prepara al corvo il suo pasto, quando i suoi nati gridano verso Dio e vagano qua e là per mancanza di cibo?”

Di fatto anche il discorso di Dio non redime la questione del “perché” il dolore che rimane un mistero senza fine; eppure Giobbe, nonostante tutto, mantiene la sua rettitudine, saldo nella sua “fede”. La storia pare finire bene: poiché Giobbe non è venuto meno ed è rimasto saldo in ciò in cui crede gli viene restituito il doppio di tutto ciò che ha perso. Ma, un mio amico e grande conoscitore delle Scritture, un giorno mi ha fatto notare che sì, Giobbe è stato largamente risarcito, ma con altro. Quei figli e quegli averi, quelli della prima ora per intenderci, non sono stati restituiti. “Quel” dolore per “quella” perdita rimane.

Sono pagine di altissima poesia e saggezza ed è, davvero, un piccolissimo libro, pochissime pagine che, davvero, meritano qualche ora del tuo tempo.

Non ti sarà difficile, amico lettore, sentire per Giobbe simpatia ed affetto perché tante volte ti sarai sentito esattamente come lui, sopraffatto dal dolore, impegnato a cercare di capire, perché proprio a me, ti sarai arrabbiato, avrai sentito su di te, con rabbia e tristezza il peso dell’ingiustizia. Ma lui, Giobbe, rimane fermo, si interroga, si dispera, ma rimane saldo. Ed allo stesso modo ti sarà capitato di essere uno di quegli amici, che “vedono” quanto grande sia il dolore dell’altro e rimangono così, vicino, in silenzio e poi cercano un perché introvabile.

Ti ringrazio per la pazienza con cui hai letto i miei pensieri fino a qui. Credo sia evidente io non sia una teologa o un’esperta in materia ma una semplice “ricercatrice”. La Bibbia è un libro tanto grandioso quanto offuscato da pregiudizi; certo i libri che la compongono non sono semplici o di comprensione immediata. Ma noi che amiamo la lettura sappiamo che per affrontare testi importanti, un esempio su tutti, la Divina Commedia, abbiamo bisogno di studio, di insegnanti, di commentari, così la Bibbia.

Ti auguro coraggio nell’affrontare nuove sfide di lettura e ricerca.

Ti abbraccio con affetto.

Giobbe, dalla Bibbia di Gerusalemme

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