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Il pastore d’Islanda | Gunnar Gunnarsson

Al cuore del libro

“Benedikt guardò il cielo. Da quando si era affacciato alla porta della fattoria di Jøkli, la sfera celeste aveva fatto un quarto di giro. Il tempo passa in fretta, che lo si segua o no. Ma fa bene accompagnare le stelle, essere un po’ in movimento come loro. Era piacevole camminare lassù. Le cime innevate sembrano molto più basse e lontane sotto il chiaro di luna, strisce di stelle scintillavano qua e là sul ghiaccio nero e lucido.
Quel viaggio era come una poesia, col tempo s’imparava a memoria e poi si sentiva il bisogno di tornare, per accertarsi che nulla fosse cambiato. E così era: tutto era ancora estraneo e inaccessibile, eppure familiare e inevitabile. Benedikt si sentì invadere da una pace assoluta. Una fiducia sgorgata dal profondo si diffondeva in lui, totale e infallibile: lì camminava. Camminava lì. Era come un uomo che sta per annegare e all’improvviso tira fuori la testa dall’acqua ed è salvo. L’aria si riversava su di lui come una fonte, e lui beveva
a grandi sorsi. Quella era la sua vita: camminare lì. E poiché quella è ormai la sua vita, può affrontare ogni cosa, qualsiasi cosa e darle il benvenuto. Non ha più preoccupazioni, o meglio una sola: non riesce proprio ad immaginare chi seguirà le sue tracce, dopo di lui. Ma qualcuno dovrà pur venire”.

Gunnar Gunnarsson, Il pastore d’Islanda (trad. Maria Valeria D’Avino)

“Perché non poteva essere…” Ecco vedi? Il libro è così bello, meraviglioso, poetico che non riesco a smettere di copiarne stralci… con stupore ho letto questa fiaba “per grandi”, lentamente, parola per parola, con l’inquietudine che il libro, molto sottile, sarebbe finito velocemente. Ne ho gustato le immagini, il freddo, la profondità; ho viaggiato insieme a “Benedikt, mezzo servo e mezzo contadino, (…) con i suoi amici fedeli, il montone Roccia e il cane Leó” che partono la prima domenica dell’Avvento per andare a cercare poche pecore sfuggite “ai grandi raduni autunnali e si perdevano fra le montagne. Erano solo pecore, certo ma pur sempre creature vive di carne e sangue; carne, sangue e anima”, in un paesaggio montuoso impervio e flagellato dalla tormente di neve. La storia è così bella che sto facendo fatica e non raccontartela e non rovinarti il piacere silenzioso della tua scoperta di questa avventura. Anzi, non credo di saperne fare un racconto così evocativo come il libro, ma davvero vorrei trascrivere per te intere pagine ed evidenziarti i passaggi, per me, di pura poesia.
Ma, torniamo alla storia. Benedikt, ti dicevo, è uomo di mitezza assoluta, che affronta un viaggio apparentemente inutile e senza senso, addirittura pericoloso, con due compagni speciali, un cane ed un montone, con i quali condivide avventure e momenti talora lirici, talvolta veramente difficili.
Mentre leggi sarai con i tre, la “trinità”, in mezzo alla bufera di neve a cercare un rifugio, sentirai l’odore ed il calore del caffè nel rifugio sotto la neve –“chi non l’ha mai bevuto in una buca della terra, a trenta gradi sotto zero e in mezzo a un deserto di montagne e tempesta, non sa cos’è un caffè”- , condividerai l’impegno di Benedikt nel portare il fieno per Roccia e la sua preoccupazione di liberare il pelo degli animali, e poi i propri vestiti e la propria barba, dal ghiaccio e dalla neve per prevenire umido e freddo. E ne sarai commosso.
Vivrai quel viaggio –dicevo- in mezzo alla neve, con dei compagni di ventura bizzarri, incontri imprevisti, e sarai accanto a Benedikt a guardare il cielo stellato, nella tormenta, e condividerai le sue preoccupazioni come se tu non fossi uno spettatore ma un protagonista accanto a questa stramba “trinità”.
La fiaba, mi ripeto, meravigliosa.
Ma se vuoi, potrai trovare significati molto vicini alla tua vita, in un dispiegarsi di metafore… potrai ripercorrere i viaggi della tua di vita, le tormente che hai attraversato, la ricerca di “rifugi” per momenti di pausa in cui riprendere le forze, scaldarti, con compagni di viaggio di fortuna ma non per questo meno importanti, con obiettivi, ti auguro, dettati dalle profondità del tuo cuore.
Non posso che lasciarti con un altro passaggio-gioiello di questo libro con l’augurio di non perdere mai la speranza anche quando il viaggio sembra svolgersi in condizioni estreme; la fiaba ci dice che possiamo trovare rifugio, scaldarci, in compagnia di amici e con soluzioni spesso inaspettate. Buona lettura.

“Aveva solo una specie di vuoto nel petto, una nostalgia che non si lasciava fissare né chiarire. Era perché doveva abbandonare per qualche giorno le terre abitate o perché a ognuno di quei commiati lo assaliva il pensiero che un giorno avrebbe dovuto separarsene per sempre? L’uomo si aggrappa alle sue cose, si
aggrappa a se stesso e alle sue cose al di là della morte, teme che la vita gli sfugga dalle mani –è questa la più reale di tutte le realtà, la più fragile di tutte le fragilità, la più infinita fra le cose infinite. Teme la solitudine che è la condizione stessa della sua esistenza. Teme di non essere più circondato dal prossimo e forse d’essere dimenticato da Dio.”

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